Tutto calcolato. Sa bene quanto se ne parlerà e quanti
altri quotidiani inviti ai talk Tv ciò gli procurerà.
Ormai si compiace della sua isteria, che nemmeno Freud
avrebbe saputo curare, della sua megalomania e dei suoi eccessi compulsivi che
sa bene come mettere a frutto. Solo un TSO, una camicia di forza o la pistola
Taser saprebbero contenerlo.
Lo schifo e il disgusto per questa specie di essere è ormai
irrefrenabile. (A. La. 26.6.2020)
MUFFA
TOSSICA CHE PASSA ATTRAVERSO LE GENERAZIONI
Nel
triste Paese tra i più maschilisti d’Europa, alcuni uomini sono riusciti a
collezionare una serie di perle sessiste che vale la pena ricordare.
Raffaele
Morelli, psichiatra e psicologo, intervenuto a Rtl per commentare l’aforisma
della scrittrice François Sagan: “Un vestito non ha senso a meno che ispiri gli
uomini a volertelo togliere di dosso” ha illustrato il suo personalissimo
concetto di femminilità, una sorta di bio-viagra che le donne avrebbero il
compito di erogare per svolgere la loro naturale funzione di rivitalizzare ed
eccitare sessualmente gli uomini.
Se non
lo fanno non “stanno nel processo”. Non sappiamo a quale “processo” si
riferisse lo psichiatra (temo che sia quello della decomposizione dell’identità
delle donne) che ha inanellato queste perle una dietro l’altra: “Se una donna
esce di casa e gli uomini non le mettono gli occhi addosso deve preoccuparsi
perché vuol dire che il suo femminile non è in primo piano. Puoi fare
l’avvocato o il magistrato e ottenere tutto il successo che vuoi ma il
femminile in una donna è la base su cui avviene il processo.
Il
femminile è il luogo che suscita il desiderio. Le donne lo sanno bene, perché
se la donna non si sente a suo agio con un vestito, torna in casa a
cambiarselo. La donna è la regina della forma. La donna suscita il desiderio,
guai se non fosse così”.
Quindi
le donne possono anche raggiungere obiettivi e realizzare progetti ma senza
l’approvazione maschile sull’appettibilità erotica e sessuale non andranno
dalla parte giusta ovvero da nessuna parte.
Il
giorno dopo incalzato da Michela Murgia al Tg Zero di Radio Capital, lo
psichiatra ha mal reagito alle domande e perdendo la patina di bonomia che
gronda sempre dai i suoi lunghi monologhi ha risposto: “Fai domande cretine”,
“Stai zitta e ascolta” passando dal “lei” al “tu” tanto per far capire chi
comandava poi ha chiuso malamente la telefonata rivelando quanto sia
refrattario alle critiche.
Poi
c’è stata la perla di Vittorio Sgarbi che alla Camera dei Deputati, dopo il suo
intervento su Luca Palamara e il Csm, ha insultato la collega Giusi Bartolozzi
che aveva criticato le sue parole. Apriti cielo: è sbottato insultandola con
epiteti sessisti che ha rivolto anche a Mara Carfagna, vicepresidente della
Camera. E’ uscito di scena miseramente, portato fuori a braccio dai commessi
della Camera. Dopo
l’espulsione alla Camera si paragona al Cristo di Raffaello: “Mi volevano
deporre ma mi hanno solo spostato”
Antonella
Veltri, presidente di Donne in Rete contro la violenza, ha commentato la
vicenda dicendo che “dietro la reazione di Sgarbi si annidano misoginia,
sessismo e patriarcato, un portato culturale che si manifesta troppo spesso. Se
al posto della vicepresidente Carfagna e della Bartolozzi ci fossero stati
uomini, non saremmo arrivati fino a questo livello. Noto sempre con favore
l’esistenza di un fronte comune trasversale e al di là degli schieramenti
politici nelle battaglie di genere. In particolare voglio ricordare la presenza
di Mara Carfagna già molti anni fa con noi in piazza durante una importante
manifestazione. Allora fu contestata dal suo schieramento”
Dopo
le performance di due vecchi patriarchi c’è stata la perla di due giovani.
Cesare
Cremonini intervistato da Alessandro Cattelan durante la puntata di Epcc, lo
show Sky, ha detto: “Ho pensato alla mia donna delle pulizie che si chiama
Emilia.
Non è
vero non si chiama Emilia. Lei è moldava e io ho preteso in onore della mia
terra di chiamarla Emilia. Io voglio chiamare anche mia figlia Emilia. Ognuno
dovrebbe chiamare le persone come crede, soprattutto le persone che entrano in
casa tua. Sono pagate e possono quindi far cambiare il loro nome”.
Alessandro
Cattelan ha ascoltato, ha bofonchiato qualcosa sull’importanza di versare i
contributi eppoi giù risate complici. Né Cremonini, né Cattelan hanno avuto
sentore della volgarità e della pesantezza di quelle parole dall’amaro sapore
sessista, classista e razzista anzi ne hanno riso senza imbarazzo e spero che
in loro difesa non si tiri in ballo l’ironia, l’usurato salvagente dei cretini,
continuamente citata a sproposito.
Quando
ho ascoltato questa parte dell’intervista mi è venuta in mente la serie
televisiva Radici trasmessa in tv negli anni 70.
Ricordo
ancora dopo 40 anni quell’unico frammento. Lo schiavo Kunta Kinte veniva
frustato perché non accettava di essere chiamato Toby, il nome imposto dal suo
padrone. Oggi in teoria non ci sono più padroni e schiavi, né frustate, per
fortuna sono un reato nei Paesi occidentali.
Ci
sono contratti di lavoro e si versano i contributi ai dipendenti (in teoria)
però ci sono molti che come Cesare Cremonini, sentono riecheggiare dentro di sé
l’antica violenta tracotanza del maschio padrone e la pretesa di commettere
abusi con il potere del denaro e della propria supposta superiorità e ne
parlano pubblicamente senza pudore. Non a caso la persona alla quale il
cantante ha imposto un altro nome, è immigrata ed è una donna come credo non
sia un caso che il cantante abbia fatto omaggio alla sua fidanzata dedicandole
la canzone Giovane stupida.
Vittorio
Sgarbi pensa di poter insultare le deputate denigrando la loro sessualità.
Raffele Morelli pensa di poter dire alle donne di essere belle e di stare
zitte. Cesare Cremonini è convinto che sia uno scherzo cambiare il nome ad una
donna trattata da serva e Alessandro Cattelan è convinto che se ne possa
ridere.
E
tutta questa muffa tossica che continua a intrecciare sessismo, classismo e
razzismo passa attraverso le generazioni. (Nadia Somma)
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