lunedì 11 luglio 2016

UNDICI LUGLIO

Tappe, cicli, scadenze, ricorrenze: nella nostra esistenza, ce ne sono sempre e tanti, in ogni stagione, ad ogni festa comandata. Anzi, ne scandiscono i ritmi stagionali: dalla primavera della giovinezza, all’inverno della maturità, passando attraverso le mezze stagioni dell’infanzia, del dubbio, delle paure, dei desideri. 
Sono, in effetti, bilanci, estratti conto scadenzati del nostro provvisorio mestiere di vivere. 
Sono pagine e riflessioni che il nostro grande archivio personale ci obbliga a visitare, a rileggere, a ricordare, ad indagare, senza sconti per nessuno.
Sono i saldi del confronto, della coscienza, dei valori che ci portiamo dentro, sempre in bilico e a rischio di precarietà.
Dalle aste e le vocali, abbiamo avuto il privilegio o la sventura di scoprire, a tarda età, le lusinghe della tecnologia che hanno cambiato tanti aspetti della vita quotidiana, che ci hanno svelato un mondo nuovo e sconosciuto, attraente e misterioso, senza però riuscire a cancellare del tutto i confini della nostra specificità, nella difficile battaglia culturale per l’autonomia del pensiero e degli affetti. 

Arriva, però, un momento in cui scopriamo il privilegio del non dover mentire a noi stessi, del non dover e non voler fare ciò che non ci va di fare. Che ci consente di decidere, di scegliere, di preferire, di selezionare le cose e le persone, i piaceri e i sentimenti e tutto ciò che amiamo, con una punta di sano egoismo primordiale. 
Non possiamo, in quell’attimo, fermare il tempo, né le mode, né gli obblighi sociali, morali o collettivi, ma possiamo rifiutare i sofisticati totem di certa modernità, come le forme ibride di nuove chiese e religioni, fatte di santi, santini, allegorie, miti fasulli,  arroganti predicatori, anarchici peccatori e brutte figurine, da adorare con ogni possibile riserva e con tutto lo scetticismo dell'eretico convinto.

È bello, tuttavia, dal palchetto del proprio teatrino laico e artigianale, scostare un po' il sipario che ci veste e che ci avvolge, guardarsi dentro e riscoprire ancora emozioni, quasi giovanili o dimenticate. Sono l’altra nostra vera ricchezza: siamo quello che abbiamo pensato, amato, realizzato e condiviso con un altro pezzo di umanità. E siamo, soprattutto, quello che di tutto questo, con commozione, ci rimane. 
Ma ci ricordano, soprattutto, che non dobbiamo inseguire l’esistenza, ma solo viverla fino alla fine del romanzo. 
Non da spettatori, ma da protagonisti consapevoli della tragicomica commedia della vita! 

Auguri. (Alfredo)

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