venerdì 8 luglio 2016

PERCHE’ TANTO ACCANIMENTO?

Speranze deluse, sogni infranti, vite spezzate da un triste gioco del destino.
Alcuni articoli di giornale, gelosamente conservati sul telefonino della 24enne Chinyery, definita scimmia africana dal fermano assassino, raccontano la favola della stessa Chinyery e di  Emmanuel, scappati dalla violenza di Boko Haran, che avevano trovato l'amore in Italia. 
Vivevano in Nigeria. Lei studentessa al secondo anno di medicina, lui, Emmanuel, lavorava. Avevamo un bambino di due anni e mezzo.
Dovevano sposarsi un mese dopo, quando una bomba dei terroristi di Boko Haram distrusse il loro sogno, la loro casa e ucciso il loro figlio. Morirono anche i genitori di Emmanuel.
Non avevano più niente, se non il proprio dolore.
Avevano perso ogni cosa e scapparono subito. Sognavano l’Italia.
Quattro mesi di viaggio, un incubo interminabile. Arrivati in Libia, una notte furono aggrediti, derubati e picchiati da comuni criminali, entrati in casa. Lei, incinta, non fu risparmiata e cominciò a perdere sangue. E quelle perdite non si sono mai fermate. Poi, in mare, durarono quattro giorni, fino al sospirato arrivo in Sicilia e poi a Fermo.
La gravidanza non c’era più.
Ma restava la fiducia e un po’ di gioia per essere arrivati lì, dove tutto sarebbe ricominciato, dove sarebbe stato possibile coltivare un nuovo sogno e un progetto di vita, di famiglia e di lavoro.

Ma questa storia triste, nonostante le speranze e l’accoglienza, non era ancora finita.
I due giovani nigeriani non avevano ancora pagato, per intero, il caro prezzo della sofferenza e della persecuzione. Mancava l’epilogo che doveva trasformarla in tragedia della malvagità e della discriminazione, ben lontano, però, dai riconosciuti luoghi del terrore.
Proprio in Italia, a Fermo, la loro terra promessa, doveva concludersi, a soli trentasei anni, la vita di Emmanuel, per mano di uno schifoso razzista locale, e infrangersi quel sogno di normalità, di felicità, di possibile nuova vita e di futuro di quella giovane coppia, fuggita dall’inferno.
(Alfredo Laurano)




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