Oggi, forse, è più chiaro perché Sanremo è Sanremo, come si
sussurra e si urla da anni e da sempre. E’ lì che ha luogo la liturgia musicale
e si concretizza il mito: da Vola colomba a Grazie dei fior, da Volare e allo
scimmione di Gabbani.
E’ comunque il Festival delle polemiche, delle ripicche,
delle critiche, senza voler alludere alle rivalità discografiche e di mercato o
al lontano e sconvolgente suicidio di Luigi Tenco, del 1967, eliminato perché troppo
poetico e troppo poco commerciale.
E lo è a prescindere dalla conduzione, dalle scelte
selettive, dai confronti, dagli ospiti. Che siano artistiche, organizzative,
sociali, politiche, speculative o di prospettiva, in tutti i sensi. Sono
necessarie, obbligatorie, genetiche e, quasi sempre, premeditate e alimentate
ad arte.
E così, anche l’ingenuo Amadeus, ancor prima dell’inizio
ufficiale delle kermesse, si è adeguato alla tradizione e agli inevitabili
contrasti.
Prima la lista degli artisti in gara uscita anzitempo. Poi
la polemica sulla presenza della “sovranista” Rita Pavone. A seguire quella
sull’ospite palestinese Rula Jebreal, censurata dalla Rai. E ancora, nella
conferenza stampa di apertura, con una dichiarazione infelice, e subito
strumentalizzata dai media, su Francesca Sofia Novello, fidanzata di Valentino
Rossi (“Ragazza molto bella, capace di stare un passo indietro rispetto al suo
uomo”) e sulle altre “vallette”, tutte più che bellissime. Come se l’avvenenza
e la venustà fossero la cosa più importante e discriminante, il requisito sine
qua non, l’unico criterio di scelta, a dispetto dell’intelligenza e della cultura
della persona. Se non sei bello, “ti tirano le pietre”, parafrasando Antoine.
Ma, a dispetto di queste tante chiacchiere rituali, che
servono da quinta pubblicitaria all’evento che da settant’anni racconta storia,
società e costume di un certa Italia, la cosa più eclatante e ben più pesante,
riguarda la presenza in gara di tale Junior Cally, rapper mascherato e
“arrabbiato”, reo confesso di testi sessisti e volgari nel suo recente passato.
Si, un altro di quella schiera di ragliatori a cielo
aperto, che da tempo inquinano il mondo della musica e incidono nel normale
processo educativo ed evolutivo delle giovanissime generazioni.
Dietro il personaggio, il solito, inevitabile disagio
giovanile (ma so’ tutti sfigatissimi ‘sti neo rapper della filosofia
dell’emarginazione!) fatto di povertà, passato difficile, rabbia e desiderio di
riscatto, da ottenere anche e soprattutto in maniera non sempre onesta, come
raccontano nelle proprie suadenti liriche.
Nel brano “Strega”, il
poeta mascherato ci informa che “Mi piace danzare la notte, sopra le punte, fra queste mignotte. Uscito
dalle fogne, dormo con tre streghe. Fratello, le rimando a casa con le calze
rotte; la seconda Gioia, (lei si chiama Gioia), beve poi ingoia. Balla mezza
nuda e dopo te la dà. Si chiama Gioia, perché fa la troia, sì, per la gioia di
mamma e papà’. Questa frate’ non sa cosa dice. Porca troia, quanto cazzo
chiacchera?
L’ho
ammazzata, le ho strappato la borsa. C’ho rivestito la maschera”.
Per puro sillogismo anomalo, ancorché malizioso, mi vien da
chiedere: ma uno che pensa, scrive e recita questi sublimi versi che denigrano
la donna, come si comporterà quando, su quel mitico palco dei fiori e delle
note, scoprirà l’incredibile leggiadria e lo splendore delle “Fate Ignoranti”
di Amadeus, così tanto, assai, veramente bellissime?
Preso da un raptus femminicida, le violenterà una ad una,
in diretta e in mondo visione, senza nemmeno togliersi la maschera?
(Alfredo Laurano)
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