giovedì 23 gennaio 2020

ECCONE UN ALTRO


Oggi, forse, è più chiaro perché Sanremo è Sanremo, come si sussurra e si urla da anni e da sempre. E’ lì che ha luogo la liturgia musicale e si concretizza il mito: da Vola colomba a Grazie dei fior, da Volare e allo scimmione di Gabbani.
E’ comunque il Festival delle polemiche, delle ripicche, delle critiche, senza voler alludere alle rivalità discografiche e di mercato o al lontano e sconvolgente suicidio di Luigi Tenco, del 1967, eliminato perché troppo poetico e troppo poco commerciale.
E lo è a prescindere dalla conduzione, dalle scelte selettive, dai confronti, dagli ospiti. Che siano artistiche, organizzative, sociali, politiche, speculative o di prospettiva, in tutti i sensi. Sono necessarie, obbligatorie, genetiche e, quasi sempre, premeditate e alimentate ad arte.

E così, anche l’ingenuo Amadeus, ancor prima dell’inizio ufficiale delle kermesse, si è adeguato alla tradizione e agli inevitabili contrasti.
Prima la lista degli artisti in gara uscita anzitempo. Poi la polemica sulla presenza della “sovranista” Rita Pavone. A seguire quella sull’ospite palestinese Rula Jebreal, censurata dalla Rai. E ancora, nella conferenza stampa di apertura, con una dichiarazione infelice, e subito strumentalizzata dai media, su Francesca Sofia Novello, fidanzata di Valentino Rossi (“Ragazza molto bella, capace di stare un passo indietro rispetto al suo uomo”) e sulle altre “vallette”, tutte più che bellissime. Come se l’avvenenza e la venustà fossero la cosa più importante e discriminante, il requisito sine qua non, l’unico criterio di scelta, a dispetto dell’intelligenza e della cultura della persona. Se non sei bello, “ti tirano le pietre”, parafrasando Antoine.

Ma, a dispetto di queste tante chiacchiere rituali, che servono da quinta pubblicitaria all’evento che da settant’anni racconta storia, società e costume di un certa Italia, la cosa più eclatante e ben più pesante, riguarda la presenza in gara di tale Junior Cally, rapper mascherato e “arrabbiato”, reo confesso di testi sessisti e volgari nel suo recente passato.
Si, un altro di quella schiera di ragliatori a cielo aperto, che da tempo inquinano il mondo della musica e incidono nel normale processo educativo ed evolutivo delle giovanissime generazioni. 

Dietro il personaggio, il solito, inevitabile disagio giovanile (ma so’ tutti sfigatissimi ‘sti neo rapper della filosofia dell’emarginazione!) fatto di povertà, passato difficile, rabbia e desiderio di riscatto, da ottenere anche e soprattutto in maniera non sempre onesta, come raccontano nelle proprie suadenti liriche.
Nel brano “Strega”, il poeta mascherato ci informa che Mi piace danzare la notte, sopra le punte, fra queste mignotte. Uscito dalle fogne, dormo con tre streghe. Fratello, le rimando a casa con le calze rotte; la seconda Gioia, (lei si chiama Gioia), beve poi ingoia. Balla mezza nuda e dopo te la dà. Si chiama Gioia, perché fa la troia, sì, per la gioia di mamma e papà’. Questa frate’ non sa cosa dice. Porca troia, quanto cazzo chiacchera?
L’ho ammazzata, le ho strappato la borsa. C’ho rivestito la maschera”.

Per puro sillogismo anomalo, ancorché malizioso, mi vien da chiedere: ma uno che pensa, scrive e recita questi sublimi versi che denigrano la donna, come si comporterà quando, su quel mitico palco dei fiori e delle note, scoprirà l’incredibile leggiadria e lo splendore delle “Fate Ignoranti” di Amadeus, così tanto, assai, veramente bellissime?
Preso da un raptus femminicida, le violenterà una ad una, in diretta e in mondo visione, senza nemmeno togliersi la maschera?
 (Alfredo Laurano)

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