mercoledì 29 gennaio 2020

ANCORA ESISTONO LE BELVE UMANE /1954


Non ci sono più parole per descrivere l’orrore nazifascista raggiunto nella seconda guerra mondiale. Non, almeno, per le persone che coltivano nel loro cuore anche un pallido barlume di significato del concetto di “umanità”.
A settantacinque anni dall’Olocausto, dalle persecuzioni di un popolo e dei diversi, dalle deportazioni, dagli orrori dei campi di sterminio e distruzione, dalle leggi razziali del 1938, c’è ancora qualche infame che inneggia a quel sistema, a quell’ideologia della strage e della distruzione, a quelle camere a gas. Che giustifica il massacro, l’eccidio di Stato e di un potere, il genocidio compiuto da un popolo di assassini, guidati dal suo Fuhrer.
Sappiamo tutti che, oltre ai miserabili negazionisti di mestiere, che contraddicono ogni evidenza non solo storica, esistono in Italia, in Europa e nel mondo tanti gruppi e movimenti di naziskin e skinhead di assoluta fede fascista e neonazista, che coltivano quella forma di subcultura razzista e antisemita, che si esaltano in quei miti orribili, che usano simboli e metodi violenti e intimidatori, in particolare verso le minoranze etniche e religiose, gli omosessuali e i diversi in genere. Alcuni sono detti "teste d'osso" o "teste vuote".
O teste di cazzo, come quei bastardi schifosi che fuori da una sede del Pd, a Torrebelvicino, in provincia di Vicenza, hanno appeso un foglio con la scritta: "27 gennaio giornata della memoria, ricordiamoci di riaprire i forni: ebrei, rom, sinti, froci, negri, comunisti ingresso libero". Sotto una svastica e la sigla "SS VI", che sta per la milizia speciale tedesca di Verona.
Una scritta elaborata, più raffinata, nella sua efferatezza, rispetto a quelle apparse nei giorni scorsi a Mondovì (“qui abita un giudeo”), a Brescia e in altri luoghi, quali altri episodi di antisemitismo. Chi l'ha pensata sapeva chi veniva rinchiuso nei campi di concentramento nazista, oltre agli ebrei. Anche la grafia ripropone il gotico, a richiamare la fascinazione per il retaggio nazista.
La coalizione civica Schio ha commentato: "Stücke. Pezzi. Così i nazisti chiamavano chi veniva prelevato e rinchiuso nei campi di concentramento. Un pezzo è un oggetto. Essendo un oggetto puoi farci quello che vuoi e quando hai finito di usarlo, lo puoi pure bruciare buttandolo in un forno. La violenza passa attraverso una lenta deumanizzazione. Fa inorridire. Quando non si riconosce la dignità umana altrui si mette in discussione pure la propria”
“Crepa sporca ebrea”, hanno scritto altre immondi carogne sul pianerottolo di casa di Maria Bigliani pensionata di 65 anni, di Torino, figlia di una staffetta partigiana.
Nello stesso Giorno della Memoria, non sono mancati poi altri insulti e minacce social a Liliana Segre, a Verdelli, direttore di Repubblica, a Berizzi e tanti altri.

“L'Università e lo studio sono l'antidoto all'odio e all'intolleranza,” ci ricorda Sergio Mattarella, dopo la celebrazione del Giorno della Memoria, legge 20 luglio 2000, n. 211.
Ma secondo me non basta: la libertà conquistata con la fine del nazifascismo va difesa tutti i giorni, con determinazione. Essere antifascisti vuol dire ricordare sempre chi è morto per la nostra libertà di pensiero e di parola oggi.
Quella lurida gentaccia, rinchiusa nella gabbia dell’ignoranza e che si rifà ai soli valori della crudeltà, della ferocia e della spietatezza, non merita di vivere insieme alle persone civili e solidali, in una comunità libera, insieme ad altre possibili vittime. Deve essere emarginata, condannata, incatenata, per non dire eliminata o messa in condizione di non nuocere.

Anche per ricordare alle giovani generazioni, soprattutto quando non ci saranno più testimoni viventi di quell’abominevole mostruosità, che è possibile convivere senza discriminazioni e pregiudizi, cancellando feccia e inutile zavorra.
28 gennaio 2020 (Alfredo Laurano)


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