venerdì 2 novembre 2018

SESSANTOTTO O GIÙ' DI LI'


Caro Fabio, mi sorprendi: liquidare il sessantotto con un semplice intreccio di slogan e battute non è da te, non ti fa onore.
Non è stato una banale campagna di marketing per vendere idee e prodotti commerciali, sbagliata e fallita dai creativi, ma un processo generazionale di presa di coscienza, di scelta, di indipendenza e autodeterminazione.

"SESSANTOTTO VAFFANCULO
Portavano il Manifesto in tasca e l’eskimo. Volevano la rivoluzione e facevano l occhiolino alle Brigate Rosse.
Oggi il leader Capanna difende i vitalizi, dirigono banche, agenzie pubblicitarie, giornali e telegiornali.
Hanno votato 5 stelle? Beh ridotti cosi che altro potrebbero fare. Ma adesso viene il bello. Tra bugie e tradimenti si accorgono che ancora una volta hanno fatto una cazzata.
Restano la panchina e i giardinetti... e qualche vecchio ingiallito giornale tolto dalla scatola delle scarpe per continuare a dire "Visto? Avevamo ragione"

Se permetti, non è proprio così. Non è stato proprio una cazzata, né un fenomeno di trasgressiva goliardia, né può essere visto oggi come il riconoscimento morale di una colpa solo studentesca.
Intanto, non era solo eskimo e contestazione a prescindere e nessuno portava in tasca il Manifesto, nato come anche Lotta Continua nel 1969 e diventato quotidiano soltanto nel 1971 (conservo ancora il primo numero). Né si fiancheggiavano le Brigate Rosse: vennero più tardi “i compagni che sbagliano” e i predicatori della lotta armata. La strage di piazza Fontana a Milano del 1969 fu di chiara matrice fascista.

Il sessantotto è stato un grande movimento di massa internazionale, sostenuto da un ideale politico collettivo che voleva il cambiamento, che aspirava a superare i valori stagnanti dell’individualismo borghese, il conformismo sociale e il dilagante consumismo; che proponeva una rivoluzione capillare, capace di trasformare la società dei privilegi - non ancora globale, ma globalizzata nelle ingiustizie, nella distribuzione della ricchezza, nelle disparità e nelle disuguaglianze -, di cambiare la condizione giovanile e di cancellare le tante forme di discriminazione.
Che sperava di rimuovere l’immobilismo dello “statu quo ante”, politico ed economico di parte, e rendere protagoniste non le élite, ma le masse e le categorie, fino ad allora emarginate dalla storia.
Che mirava a democratizzare le istituzioni chiuse e reazionarie, anche accademiche, e riaffermare i diritti dei lavoratori, degli studenti e delle donne, la scuola di massa, le rappresentanze di fabbrica (lo statuto dei lavoratori, nel 1970, fu una sua logica conseguenza).
Anelava a un mondo libero e giusto, eticamente tollerabile, ancorché modernamente ispirato alle utopie di Platone e Tommaso Moro.

E’ un pezzo di storia, di un diffusissimo sentire comune e di un preciso contesto politico-sociale di quel tempo, che non si può riassumere come un fattarello di cronaca provinciale o raccontare in un post frettoloso, critico e sprezzante sui social. Anche la panchina e i giardinetti, a una certa età, hanno la propria dignità.
Né conta ciò che alcuni protagonisti e leader italiani (Sofri, Capanna, Boato, Deaglio, Liguori, Mughini, Manconi, Gad Lerner, Toni Negri, Cacciari, Pancho Pardi e Paolo Mieli) siano col tempo diventati o cosa o quanto abbiano rinnegato o tradito: contano le idee, i valori e le battaglie che il sessantotto ha rappresentato per creare un mondo migliore. (A. La.)

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