lunedì 19 giugno 2017

IL MALE DI VIVERE

È come se, ogni tanto, la Natura volesse riappropriarsi del suo ruolo, cinico e indifferente al dolore umano, grazie anche e soprattutto alla determinante stoltezza dell’animale più sapiens, erectus e intelligente che la affronta, la offende, la violenta, cercando da sempre di dominarla. Pur facendone parte, pur essendone componente integrante, espressione preminente.
In pochissimi giorni, ci ha regalato lo spaventoso incendio del grattacielo londinese, con un centinaio di vittime volanti nel vuoto tra le fiamme, e, poche ore fa, il rogo infinito e selvaggio della foresta portoghese, a duecento chilometri da Lisbona, che ha carbonizzato e soffocato altrettante persone intrappolate e affumicate.
È come se quella Natura volesse ricordarci che non si vive e non si muore di sole guerre, malattie e terrorismo, di attentati d’ogni tipo e scelta, in una spirale di fantasia malata che si propaga dagli stadi ai concerti, dalle strade alle manifestazioni, dai mercati, ai college, ai ristoranti. E l’orribile lista degli obiettivi di ogni fondamentalismo si rinnova e cambia ad ogni nuovo, esecrando capitolo, infame, spietato e spiazzante, come e più del precedente.

Non sarà che quella Natura “matrigna” e beffarda voglia vendicarsi delle prepotenze cui l’uomo la sottopone di continuo, a suo piacimento e per puro egoismo?
Non sarà che tra l’evento che all’apparenza definiamo “naturale” (terremoto, alluvioni, tsunami, valanghe, disastri ambientali…) e quelli premeditati dall’uomo, in fondo - visto il suo ruolo comunque attivo - non ci sia una gran differenza, e non solo formale?

Forse il male riempie quel vuoto che non può esistere in Natura e nella natura umana, come antitesi del bene.
O, forse, è sciolto in essa sotto varie forme che si camuffano in mille modi e aspetti, velati in maschera, surrettiziamente. Che si propongono come realtà, anche abituali, ma non sempre e non immediatamente riconoscibili, alle quali siamo assuefatti: guerre umanitarie e di religione, bombe intelligenti, pane, tecnologia e nuove schiavitù, o le ripetute stragi dei padroni del mondo che esportano democrazia, cultura e libertà, in cambio di un po’ di semplice business.
Il male, come nemico che combatte il bene, abita la stessa coscienza umana e l'uomo che quel male compie, ha un limite morale assai ridotto o inesistente. Ha un Io debole che non è capace di gestire, di dominare questa eterna contrapposizione e scegliere secondo il suo libero arbitrio.

Da sempre - da Platone ad Aristotele, da Agostino a Kant, da Hobbes alle teorie marxiane e rivoluzionarie e fino ai giorni nostri - si discute di come interpretare la violenza, se nasce con l'uomo o se è un prodotto accidentale e culturale dello stesso. Un vizio genetico, evolutivo, ambientale.
O se, come pensa Leopardi, la natura "matrigna" è la sola colpevole dei mali dell'umanità, perché persegue, ostinata, incessante e noncurante, il suo compito di prosecuzione della specie, di selezione razziale e di conservazione del mondo, in quanto meccanismo del tutto indifferente alle scelte e ai bisogni del singolo, destinato alla sofferenza. E a soccombere come gazzella nei confronti del leone.
In natura, la vita è assicurata e ritmata proprio dalla violenza e dall'egoismo, dal rapporto ineluttabile fra preda e predatore. E lì che si realizza il suo equilibrio, il suo ecosistema.
Tutto il resto fa salotto.
(Alfredo Laurano)

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