mercoledì 28 giugno 2017

FRATE FAZIO E CONFRATELLI

Il caso della povera donna che ieri si è auto-incendiata nella sede Inps di Torino non è né il primo, né l’unico, né certamente l’ultimo. Tanti l’hanno preceduta in questo gesto di autolesionismo per sopravvenuta disperazione, in questa ennesima storia di ordinaria emarginazione e di menefreghismo sociale nel terzo millennio.
Ustionata nel 70% del corpo, è un’altra vittima di un mondo del lavoro sempre più brutale e precario, senza regole certe e solidarietà.
“Mi hanno licenziata di punto in bianco, non mi danno l’indennità di disoccupazione, non ce la faccio più”, ha urlato in mezzo alla gente, in fila allo sportello, prima di cospargersi il corpo di alcol e darsi fuoco con un accendino.

Ma quello che più sconvolge di questo nuovo dramma della miseria è l’incredibile, inevitabile confronto da cui non ci si può sottrarre, in ordine ai tempi e alle avvilenti circostanze di una insopportabile attualità.
Mentre la poveretta reclamava una giusta risposta dalle istituzioni solo per mangiare e sopravvivere, fino a compiere un gesto così estremo ed eclatante, altri contemporanei lamentavano “analoghi” problemi di possibile ricchezza a rischio di intollerabile quasi povertà.

Senza scivolare nel facile qualunquismo, nell’ira popolare di troppa gente, offesa nella dignità e mortificata nella conta settimanale dei centesimi per sbarcare il lunario, non è giusto ignorare il caso del giovanissimo portiere del Milan, tale Donnarumma, che, a diciotto anni, appena affacciato sulla vetrina dei nababbi del calcio, rifiuta un ingaggio di soli quattro milioni di euro dalla sua società e minaccia di andarsene in più generosi lidi e fra più prodighi sceicchi.
O i tanti altri personaggetti del piccolo schermo Giletti, Clerici, Conti), pronti a decollare altrove, non potendo accettare tetti miseri e offensivi di 240mila schifosissimi euro, l’anno, imposti dalla nuova normativa sull'editoria.

Ricatti nell’etere, estorsioni legali in mondo vacuo, debole e amorale che costringono la Rai nazionale a scegliere una deroga per l’avido frate Fabio Fazio, a cui hanno offerto un contrattino di circa dodici milioni di euro in quattro anni, pur di non perderlo, di non lasciarlo andare nella nuova valle promessa dell’Eden televisivo della prorompente La Sette.
 “Siamo costretti a votare la sua conferma, altrimenti andrebbe alla concorrenza. Qualcuno ci avrebbe chiamato a rispondere del possibile danno per i conti del servizio pubblico, in termini di ascolti e di minori entrate pubblicitarie”, dice un Consigliere Rai.
“Sono certa che la perdita di Fazio avrebbe portato uno scossone ai nostri ascolti, con effetti seri, non so se la Rai avrebbe retto senza Fazio: possibile impatto sistemico, occupazione a rischio che non ci siamo sentiti di affrontare, avendo tredicimila dipendenti", aggiunge la presidente Maggioni.

Se non è ricatto questo, siamo al paradosso, alla conditio sine qua non, per garantire occupazione e stabilità. O chiamatela, se volete, emozione, scelta pro bono pacis, o per fare di necessità virtù e salvare capra e cavoli dell’etere.
I tredicimila ringraziano sentitamente il benefattore che, spudoratamente, amministra su Raitre.
Eppure, una ventina d’anni fa, Fazio non era così avido.
Ho fatto con lui due o tre cose di TV: una convention allo Sheraton Hotel di Roma e un paio di spot sull’uso del bancomat. Era un giovane capace, serio, attento, professionale e anche geniale.
Poi, deve essersi guastato col crescere.
Come tanti altri che usano il mondo del lavoro, dello sport, dello spettacolo e dell’informazione, come un incessante bancomat di uno sconclusionato mondo dell’effimero.
Datevi fuoco, in senso metaforico. E vergognatevi quanto basta.
 (Alfredo Laurano)


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