sabato 5 novembre 2016

DA ACCATTONE A MUCCINO

Il luogo della scomparsa di Pasolini, dopo anni di abbandono e degrado, è diventato da tempo un giardino letterario, lungo Via dell'Idroscalo a Ostia, curato da volontari che, a titolo gratuito, ne garantiscono la pulizia e fruibilità durante tutto l'anno.
Tre giorni fa, a 41 anni dalla morte (2 novembre 1975), l'artista è stato lì commemorato.
Anch'io voglio ricordarlo con questo mio pezzo, di un anno fa.


DA ACCATTONE A MUCCINO 

Senza citare la solita frase sulla tolleranza attribuita, pare erroneamente, a Voltaire è ovviamente scontato che ognuno ha diritto di esprimersi, criticare, dire la sua su ogni argomento. 
Gabriele Muccino, premettendo di amarlo come pensatore, giornalista e scrittore, ha scritto che Pasolini regista fosse fuori posto, anzi, semplicemente un “non” regista”, che usava la macchina da presa in modo amatoriale, senza stile, senza un punto di vista meramente cinematografico sulle cose che raccontava. 
Tale affermazione ha scatenato una pioggia di critiche e insulti sul social network a cui ha fatto seguito una temporanea chiusura del profilo Facebook. Gli hanno dato, con rabbia e violenza, del mediocre, dell'arrogante, della nullità; insulti a destra a manca, una sassaiola da vandalismo intellettuale, come contro colui - dice Muccino - che ha osato dire che forse la Terra non era al centro dell'Universo. 

Tutto questo è inaccettabile. La risposta a Muccino, quindi, non può e non deve essere l’ingiuria, deve essere nel merito, nel valore di un’affermazione o nella contestazione argomentata di un certo pregiudizio, rispettandone comunque l’opinione. 
Quello di Pasolini, da un certo punto di vista, fu forse un anticinema, la sintesi di un’altra visione del mondo, espressa con l’immagine (estetica) unita alla parola (essenziale e cruda), in maniera totalmente nuova e dirompente: Accattone, Uccellacci e Uccellini, Medea, Salò e Il vangelo secondo Matteo, ne sono eloquenti esempi.
Muccino, come chiunque altro, ha tutto il diritto di preferire la commedia all’italiana, il neorealismo, De Sica, Rossellini, Fellini, Visconti, Leone, Bertolucci, ma affermare che la macchina da presa di Pasolini avrebbe rovinato il cinema di quei grandi è quanto meno paradossale. E’ come mettere a confronto o in competizione Caravaggio e Picasso o Renoir e Guttuso.

A quel pregevolissimo cinema, che tutti amiamo e veneriamo, Pasolini ha opposto la sua filmica poetica, soggettiva e antinarrativa, che non risponde ai criteri del racconto lineare, logico e sensato (lo diceva lui stesso), tipici del filone propriamente narrativo. E’ un altro genere, ma non per questo conflittuale o antitetico. E’ ovvio che anche le inquadrature, gli stacchi, le dissolvenze e i movimenti di macchina siano diversi e, piacevolmente, “amatoriali”. Una tecnica che ha spezzato stereotipi etici ed estetici, senza rinnegare o stravolgere i canoni della Settima Arte, in nome della propria, presunta superiorità intellettuale. Dove metafore violente, orribili e perfino disgustose per rappresentare il male (Salò) si alternano a momenti di assoluta poesia per rappresentare l’amore e la purezza dei sentimenti (Mille e una notte). 

Allegorico e popolare, ma anche profondo e aristocratico nelle scene e nelle ambientazioni, quel cinema del grande artista, che amava la letteratura, l’eros, il calcio e, soprattutto, il libero pensiero, ancora oggi scandalizza e fa discutere, come fu anche per le sue opinioni radicali, le sue critiche taglienti e tutto il resto della sua vastissima opera. Ed è per questo che non voglio permettermi di definire i film di Muccino un po’ mediocri, un po’ stucchevoli e, a volte, un po’ patetici. 
Quelli di Pasolini, comunque la si pensi, sono entrati nella Storia. 
(Alfredo Laurano)

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