mercoledì 14 settembre 2016

MODICA QUANTITÀ /902

Il web è democrazia, è una tribuna a cui tutti - anche i truffatori, i malintenzionati, i cazzari, gli esibizionisti, gli ignoranti, gli odiatori di professione e i cosiddetti "webeti", hanno liberamente accesso. E’ un infinito palcoscenico anche per imbecilli di professione che, intendiamoci, non sono nati coi social network - esistevano anche prima - solo che non avevano gli strumenti per raggiungere la ribalta e sbandierare al mondo la propria miseria intellettuale.
Un tempo gli ignoranti non ignoravano di essere tali e perciò si sforzavano di porci rimedio - studiando, informandosi, documentandosi, con lodevole umiltà - o almeno se ne stavano in silenzio quando la discussione si faceva proibitiva e affrontava argomenti su cui sapevano di non poter dire nulla di sensato.
Adesso, siamo ben oltre l’incredibile, siamo alle soglie del delirio: gli ignoranti ignorano anche di essere ignoranti e pensano che la prima buiaccata che gli viene in mente possa assurgere agli onori del mondo. Senza pudore alcuno.

Gli utenti di Internet oggi, in tutto il mondo, sono quasi 3,5 miliardi di persone, gli utenti di Facebook hanno superato 1,7 miliardi e quelli di Twitter sono oltre 306 milioni.
Tutti possono dire tutto, quindi, dalle più complesse teorie scientifiche o filosofiche alle varie scelte di aberrazione e degrado, dall’istigazione alla violenza, alle minacce e alle pratiche pedofile, fino a ogni tipo di speculazione, manipolazione, mistificazione e, non ultima, alla contemplazione dell’ordinario banale quotidiano.
Il tradizionale e innocuo scemo del villaggio di una volta si è trasformato in citrullo telematico, il cui raglio spesso procura gravi danni non solo alla comunità virtuale: per questo, va individuato ed emarginato come pericoloso nuovo scemo del nuovo villaggio globale, che opera in una dimensione sconfinata.

Qualcuno invoca una qualche regolamentazione, una forma di controllo - cosa che già avviene in alcuni Paesi non proprio votati alla democrazia - ma non è vero che la libertà online non abbia regole.
Intanto, esiste una netiquette, il galateo di internet, cioè di quell’ insieme di regole che disciplinano il comportamento di un utente nel rapportarsi agli altri utenti, attraverso siti, pagine, forum e blog, con rispetto, educazione e non come barbari incivili, anche se, troppo spesso, questa essenziale esigenza di bon ton viene ignorata e quel fantastico strumento di scambio si svilisce e diventa sfogatoio di pulsioni o vetrina di odiosi pregiudizi.
E poi, le regole sono le stesse identiche che limitano ogni altra libertà offline: la libertà di ciascuno, anche in Rete, finisce dove inizia quella dell’altro e le leggi che ci sono già fissano confini chiari e sicuri.
E vale anche per quelli che si illudono di esistere postando gattini e paperelle, melensi slogan d’amore e d’amicizia, aforismi scontati e ritriti, foto di vacanze e di cucina, massime da catechismo elementare, odiosi commenti carichi di odio e rancore, che svelano perverse frustrazioni o bassezze morali.
E’ inevitabile che in tale universo di libera anarchia, spesso prevalgano i peggiori sentimenti della bestia umana. Anche perché schermata e apparentemente protetta dal paravento dell’anonimato. Plotoni di cecchini digitali sparano cazzate a raffica, pensando di essere al riparo e invisibili.
Ed è altrettanto normale che, come da tempo pensiamo in molti, in Rete circoli più spazzatura che informazione, più odio che solidarietà, più ignoranza che intelligenza, più razzisti e nazisti che democratici: il bello o il brutto o il paradossale è che anche uno come Sallusti - che di spazzatura se ne intende assai - lo sostenga.
Ma ci sono, per disgrazia o per fortuna, anche quelli che, con un insopportabile neologismo e con non poco disprezzo, vengono definiti la novella “razza” a parte dei buonisti - termine inventato dalla stampa e dagli intolleranti cattivisti, che ormai lo usano come insulto -che magari provano a ragionare.

La Rete consente che pensieri comuni, falsità e opinioni volgari e impopolari possano viaggiare, senza biglietto e senza pagare pegno, fino alla stazione del dialogo e della ragione, fino al delta della popolarità. Consente a chiunque di mettersi alla guida di una crociata d’odio e integralista. Consente l’orientamento, la diffusione e la propaganda, fino a convincere molte fette di variegata umanità che quel che di virtuale si costruisce e si elabora su Internet, sia altrettanto vero e valga per la l’intera popolazione reale della terra. Una doppia dimensione che poi si sovrappone.
Tutte le opinioni meritano rispetto ma, prima di impugnare il mouse e la tastiera, ognuno dovrebbe domandarsi se e quanto sia legittimo o nocivo il proprio pensiero e quale effetto produrrà sugli altri che, spesso, ne rimangono colpiti.
E’ vero che Internet ci dà un sacco di possibilità di informazione, di conoscenza e di crescita culturale, ma è anche vero che troppo spesso non ne cogliamo nessuna.
Internet sta rimbecillendo le persone: uno scrive una cavolata o condivide una bufala su Facebook - dove a copiose mandrie galoppano assai velocemente - e tutti la ripetono, senza che nessuno ne verifichi la veridicità, i fatti e le fonti.

I social hanno oggettivamente assunto uno strapotere sociale, economico, e culturale. Hanno modificato le nostre abitudini personali, intime, relazionali e commerciali, hanno condizionato le nostre scelte.
Tutti possono sapere cos’ho mangiato oggi, se sono andato al mare, se ho visto un film, se ho mal di pancia o se sono triste, incazzato o innamorato. Hanno cambiato il mondo stesso della comunicazione: siamo arrivati a leggere le notizie, non più sui giornali, ma su Facebook, dove poi diventano virali, in una grande piazza virtuale che vende frutta, verdura e scampoli di pensiero.
Sono molto più della televisione, molto più potenti e pervasivi, ci seguono dappertutto, li portiamo in tasca. Gli argomenti che ci sottopone Facebook sono tagliati su misura per noi, che restiamo succubi di un flusso di notizie non più scelto da noi, bensì da un algoritmo.
Il grave rischio, per adolescenti e per adulti fragili e immaturi, è che tutto questo crei schiavi delle tastiere, crei dipendenze e consenso mainstream, spersonalizzando i rapporti umani, che si annacquano in una falsa socialità virtuale che radicalizza ideologie e pregiudizi, all'interno di recinti sociali incomunicanti e privi di confronti.
Il mondo del virtuale non può e non deve fagocitare o sostituire quello reale.

Più che di limiti, normative o restrizioni, chi lo abita e lo percorre in lungo e in largo ha bisogno di consapevolezza e autoregolamentazione, di reciproco rispetto, di educazione, di equilibrio e di consumo critico e moderato. Di una modica quantità da assumere in opportune dosi, per la crescita e la salute culturale, senza mai arrivare alla dipendenza o all’overdose. 
Persone, cose e sentimenti vivono nell’ altra dimensione.
13 settembre 2016 (Alfredo Laurano)



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