giovedì 8 settembre 2016

LA MOGLIE DI CESARE

Si, facciamoci del male. Raggi di sole, di luci e di ombre filtrano nella tragicommedia che si sta recitando nel  teatrino Giulio Cesare di Roma Capitale. 
Tra dimissioni eccellenti, assessore indagate ma insostituibili e protette, amministratori delegati che, appena nominati, lasciano le aziende; tra mezze bugie e mezze verità, tra capacità e debolezze, in un profluvio di passi falsi, omissioni in presunta buona fede e sbandamenti verbali e decisionali. 

Come, del resto, la stessa Giunta fatta in casa, e molto fuori casa, all’ultimo momento e solo dopo la proclamazione, senza preavviso, senza uno straccio di studio o valutazione preventiva.
Come se amministrare Roma fosse una occasionale passeggiata di salute, tra corvi, civette, gufi e menagrami, appollaiati tra gli alberi e i palazzi.

Norma Rangeri osserva giustamente che il Campidoglio oggi rappresenta un luogo nel quale si incrociano e si scontrano i vecchi politicanti e gli ultimi arrivati, gli interessi affaristici di ieri e quelli di domani, e dove, in parte, viene messa alla prova la capacità del “nuovo che avanza” di misurarsi con problemi amministrativi seri e di dimostrare di essere pronto a governare l’intero Paese.
Tutto sembra permeato di pressapochismo, dilettantismo, superficialità e di un certo, incontrollato masochismo. Come un copione difficile e impegnativo, interpretato da una compagnia sperimentale e amatoriale, costituita da attori improvvisati e inesperti.

Da una parte, c’è la rabbiosa reazione del PD che, dopo la sconfitta - per sua sola responsabilità, avendo costretto Marino alle dimissioni - vuole la rivincita e cerca di affossare la sindaca Raggi, accusando i CinqueStelle di essere incapaci di governare, inadeguati e bugiardi per screditarli agli occhi dell’opinione pubblica che li ha votati e voluti.

E’ normale che chi ha perso le elezioni si attrezzi per fare opposizione, giocando anche sporco, ma con tutti i mezzi leciti a disposizione.
Ma il Pd di Roma non può permettersi di dare lezioni, visto il disastro provocato con mafia-capitale, con un terzo del partito inquinato, con le indecorose dimissioni individuali dal notaio per cacciare Marino.
Se adesso è necessaria una straordinaria opera di pulizia e palingenesi, buona parte della colpa è proprio sua.

Dall’altra,  i vincitori stellati stanno facendo di tutto per deludere gran parte del proprio elettorato  e anche chi, pur non avendoli votati si è messo in fiduciosa attesa per vedere i risultati della lotta alla corruzione, ai privilegi e allo strapotere della finanza, della difesa della Costituzione, della tutela dell’ambiente e del lavoro: loro classici cavalli di battaglia.
L’esperienza si fa amministrando, tuttavia, troppi errori si stanno accumulando: 
approssimazione, superficialità, disattenzione, arroganza, lotte di potere interne al Movimento. Con qualche scivolone di  troppo che contrasta nettamente con la loro breve storia e con i contenuti positivi della loro battaglia politica, tali da farli apparire ed essere diversi dal resto della classe dirigente. Vedi Parma, Quarto e Livorno.

Chi professa, mane e sera, onestà e trasparenza, non può cadere in tentazioni inciuciatorie, non può cedere alle fazioni, ai sotterfugi, alle furbizie e a tutto ciò che lo fa assomigliare sempre di più alla famigerata Casta e sempre di meno ai cittadini.
Chi propugna una diversa morale e insegue il bene comune deve essere coerente, non può rinnegare la propria identità o usarla a corrente alternata. Soprattutto se aspira a manovrare le leve di comando e di governo del Paese.

Deve essere come (Virginia) Pompea, la moglie di Cesare, al di sopra di ogni sospetto.
Perciò, tutti aspettano chiarezza, e non solo al Manifesto.

 (Alfredo Laurano)

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