giovedì 10 dicembre 2015

LE FEMMINE DI GRECHI


Tristi, pensierose, vaghe, sognanti, annoiate, deluse, dolci, severe.
Sono le meravigliose femmine di Carlo Grechi. 
Affollano la sua isola, come nella leggenda siciliana che battezza la sua mostra - a Palazzo Ruspoli di Cerveteri in questi giorni - e il suo universo culturale.
Costituiscono il suo “eterno femminino”, quello che, con straordinaria sintesi, Goethe aveva usato per indicare le peculiarità eterne, immutabili del fascino femminile, l'insieme delle qualità di una donna, delle caratteristiche che la distinguono nel comportamento, nell'animo, nel gusto. Ciò che di immutabile esiste nelle donne, oltre la moda o il costume, e che la fanno femmina.
In Grechi e nella sua sensibilità pittorica, le donne sono infatti l’essenza della femminilità percepita come mistero, suggestione, incanto e fascino, cui l'uomo s’arrende e vi soggiace.
Come è successo a tanti artisti, poeti e letterati, a Giosuè Carducci che, sebbene antimonarchico, non seppe resistere all’ "Eterno femminino regale" della regina Margherita, ponendola a modello dell’ideale femminile.
Sono, forse, anche l’espressione della sua idea della donna, nelle sue mille sfumature.
O il suo intimo e inconfessato racconto di una ipotetica donna ideale: nuda o vestita con abiti semplici, scalza, seduta, china, sdraiata, silenziosa, che comunica con lo sguardo e la postura, in un lirico linguaggio non verbale. 
Straordinaria la sequenza coi gabbiani.

Sono eteree e carnali, sensuali e voluttuose, immaginarie e reali nello stesso attimo fuggente.
Vivono una dimensione propria, senza spazio e senza tempo, anche se rappresentate nella quotidianità di ambienti naturali o familiari, come una casa, una stanza più o meno spoglia, un pavimento, una spiaggia, con un gatto, un tavolo, un letto, un libro, con un’altra se stessa o accanto a una finestra per sognare. Fanciulle giovani, magre e senza orpelli che guardano al passato e al futuro, che si guardano dentro per scoprirsi fragili, ma vere, in un mondo nefasto, che osservano con distacco, anelando spazi lontani e speranze propizie.

Divinizzate, mitizzate, ossequiate, anche se normali, per l’autore sono quasi creature superiori in un universo contemplativo e magico, dove l’amore si unisce al desiderio. Una legittima, piacevole e magnifica ossessione, scevra, però, da ogni e qualsiasi risvolto morboso o patologico.
Ogni pennellata cattura un gesto, un particolare, un’espressione che scopre la forza e la bellezza di ciascuna. Gli sfondi, i contorni e le ambientazioni sono racchiusi nella misura di un singolo frame e non invadono più del necessario.

Si è detto che Grechi le “sue” donne non le dipinge solamente. Le vive e le racconta con imparzialità e con rigore.
Sulla tela o sulla carta paglia, con la china, con l’acrilico o i pastelli, quelle figure restano sospese nel mistero della vita, ma sono autentiche e speciali. Ombre, luci e colori intensi tracciano la storia delle donne in ogni “inquadratura”, fino a farle diventare prima immagine, poi simbolo universale.

L’isola dell’artista Grechi non è quella della deriva, della prigione e delle femmine cacciate - cui pur si ispira nella leggenda - ma un affascinante, piccolo Eden dove lo stupore e il piacere si fondono con la spiritualità, alla ricerca di una difficile, ma forse possibile felicità.

E quelle femmine, che quel paradiso abitano, sono coinvolgenti, uniche, originali e non si fanno mai dimenticare.
Perché ognuna è donna, mistero senza fine.
9 dicembre 2015 (Alfredo Laurano)

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