mercoledì 5 settembre 2018

PREFICHE MODERNE

E’ giusto e sacrosanto che ognuno pianga (o celebri) i propri morti come desidera. Come previsto dagli usi e costumi del proprio popolo, della propria tradizione.
Riti, gesti, movimenti, parole: a seconda della storia, della cultura e delle credenze religiose, si sono sviluppate, nel corso dei secoli, molteplici e particolari usanze di fronte all'evento morte. Il cordoglio ha avuto, ed ha tuttora, singolari forme di espressione, con determinati comportamenti, consuetudini o regole. 
Ogni comunità vive il proprio dolore per la perdita di un suo esponente. Quasi sempre è prevista una veglia scandita dalla preghiera, dal silenzio e, a volte, da un lamento.
Nell’antica Roma, esistevano (ma ci sono ancora) le prefiche (dette anche, localmente, rèpute, chiangimuerti o lamentatrici), donne pagate per assistere il morto, per piangere a oltranza intorno a lui e per far parte del corteo funebre, intonando canti di elogio del defunto, accompagnati sempre da grida di dolore, da pianti e gesti di disperazione, lasciandosi andare, anche a forme di ulteriore partecipazione, con lacerazioni delle vesti e disperazione.
Alcune, durante la veglia, dondolavano incessantemente il corpo, mentre tra i gemiti portavano le mani al viso, si strappavano i capelli e si battevano forte le cosce e la fronte.

A Sassari, le prefiche sono state sostituite, o diversamente interpretate, da fascisti locali che hanno rivolto, a loro modo e con i loro miti, un ultimo saluto a un loro rappresentate deceduto. Un liturgia inequivocabilmente inneggiante, in tutto e per tutto, alla ritualità del fascismo.
Per tre volte nella chiesa di San Giuseppe ha risuonato il richiamo “camerata Giampiero Todini” e per tre volte è arrivata la risposta “presente”, proferita da una trentina di camerati schierati, quasi militarmente, col braccio alzato per l’ultimo omaggio al docente di Storia del Diritto italiano Giampiero Todini.
“Camerati, riposo”, annuncia ancora la voce dopo le esequie, prima di sciogliere le righe con un “camerati, libertà”. I presenti si salutano, si abbracciano e si fanno il segno della croce, davanti al feretro del professor Todini.
Sarebbe quanto mai utile un adeguato approccio antropologico per cogliere e studiare, oggi, gli aspetti culturali di tale anomala frangia di umanità.

Ma tutto questo si può fare sulla pubblica piazza, sul pubblico sagrato? 
Le cerimonie funebri sono esenti dal reato di apologia? 
La chiesa, il parroco, il questore, nessuno dice niente, a parte i TG e la stampa?
Premesso il doveroso rispetto per il defunto e al di là della grottesca componente politica, che pure ha il suo peso, è stata una vera sceneggiata, tra il ridicolo e il folklore, che somiglia tanto ad una farsa.
Ma allo spettacolo mancavano, in verità, le prefiche.
Quelle autentiche, ruspanti e rigorosamente in nero. 
(Alfredo Laurano)



Nessun commento:

Posta un commento