domenica 23 settembre 2018

MARA E MARINA


Lacrime, tristezza e vera commozione.
Non avevo alcuna intenzione di tornare ancora sulla tragica storia di Marco Vannini, visto che ne ho scritto parecchio, anche in questi giorni e in queste ore.
Ma la straziante ricostruzione della mamma Marina, a Domenica In di poco fa, il suo misurato e sofferto racconto della notte in cui è morto Marco, la sua compostezza, il suo tangibile dolore e quegli occhi lucidi, che a stento contenevano le lacrime, hanno davvero commosso tutto il pubblico e gli spettatori di mezza Italia.
Una forte carica di empatia si è levata da quello studio televisivo, normalmente prodigo di giochi, gossip, frizzi, lazzi e cotillons, fino a coinvolgere chiunque abbia ancora un po’ di umanità e sani sentimenti. Molti hanno pianto e sofferto con quella donna dignitosa, così provata nella sua intimità e nel suo ruolo di madre, cui hanno strappato l’unico figlio, senza un perché, senza una ragione.

Sono 40 mesi e 5 giorni oggi, ha detto, tra l’altro, che Marco non è più con noi e che ci manca.
Ha ripercorso quelle ore, ha rivissuto gli attimi drammatici di quella notte: dall’arrivo al Pit, alla rivelazione tardiva dei fatti e dello sparo, al sentire Marco freddo, all’inutile corsa al Gemelli di Roma, per poi scoprire che Marco non c’era più: il suo cuore si era fermato sull’elicottero che avrebbe dovuto portarlo all’ospedale romano.
E poi, in un delicato video, le parole ed i pensieri degli amici, che hanno ricordato l’affetto e la stima per quel ragazzo ucciso per “gioco o per errore”.
“Chi conosceva mio figlio non poteva non amarlo, ha aggiunto Marina, mio figlio grida giustizia e con lui grida tutta la comunità. Ovunque vada ci sono persone che mi sono vicine e che chiedono giustizia con me”.

Non resta che sottolineare la correttezza di Mara Venier, che ha lasciato parlare quella madre ferita, senza interromperla - come accade quasi sempre - e per il garbo, la sensibilità e la delicatezza dimostrate nei suoi confronti.
Il suo abbraccio era autentico, come la sua stessa, e la nostra, commozione.
 (Alfredo Laurano)

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