martedì 2 agosto 2016

INCUBO TURCHIA

L'Occidente "si faccia gli affari suoi", dice il nostro vicino Erdogan, dopo aver arrestato migliaia di militari, poliziotti, magistrati, docenti e rettori universitari e anche un’altra cinquantina di giornalisti - fra cui Nazli Ilicak, 72 anni, veterana del giornalismo turco, che da sempre difende la democrazia - accusati di aver appoggiato Fethullah Gulen, il presunto ispiratore del golpe fallito e primo nemico di Ankara.

Dopo i diciottomila fermati, è la libertà di stampa a finire pesantemente nel mirino della repressione. Chiusi oltre 130 media, fra cui 16 reti televisive, 23 radio, 45 quotidiani, 15 magazine e 29 case edititrici. Revocati 50 mila passaporti, per timore di una fuga all'estero dei ribelli.

Il despota della mezza luna,  sta attuando una “necessaria pulizia" all'interno di tutte le istituzioni dello Stato, per liberarle dal "virus" della rivolta e con la pretesa di sterilizzare la società infetta: il potere si consolida e si rafforza, spaventando i sudditi. 
La politica è consegnata in caserma,  Istanbul è presidiata da duemila uomini dei reparti speciali, i caccia pattugliano lo spazio aereo delle città, gli elicotteri militari non possono decollare senza il permesso del premier.

Poche ore dopo il fallito golpe, avevamo già visto centinaia di uomini ammassati sulla sabbia di una palestra militare, a torso nudo, piegati in avanti a causa delle braccia ammanettate  dietro la schiena, costretti a stare in mutande e a capo chino come bestie.

Mentre i sindacati della stampa si mobilitano a sostegno dei giornalisti arrestati e imbavagliati, resta molto vaga, come dice Michele Serra nella sua “Amaca”, la possibilità di spacciare per "legittima difesa" di una democrazia scampata a un golpe, la chiusura di tante voci libere e la brutale cancellazione dei diritti democratici, già poco saldi prima del tentativo militare. Un Paese dove si ammanettano, come delinquenti, i giornalisti di opposizione non è un paese libero e segnala il grado di libertà di una comunità.

Non si ferma quindi la dura repressione voluta dal novello dittatore, che ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale, sospendendo fino a tre mesi la Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
In Turchia sta tornando il terrore dello stalinismo, delle deportazioni e le uccisioni di massa della grande purga sovietica. O della garrota di Franco per i dissidenti spagnoli o il soffocamento della protesta di Tienanmen in Cina o delle retate, delle persecuzioni e dei delitti orrendi dei naz-fascisti del ventennio.
E l’Europa sta a guardare, anzi - in assenza di una chiara e definitiva revoca degli accordi - si prepara ad accogliere tra le sue braccia tanta democrazia.
1 agosto 2016 (Alfredo Laurano)





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