lunedì 18 gennaio 2016

SCRUTANDO SHAKESPEARE


Il Teatro nel teatro. Anche se viene dal Cinema.
“Nel bel mezzo di un gelido inverno”, film del 1995 di Kenneth Branagh, liberamente adattato, scritto e diretto da Claudio Luti, è andato in scena con la Compagnia dei Con-fusi, nel teatro di Porta Portese, di Roma, completamente esaurito.
Un gruppo di più o meno disperati e depressi attori risponde alla chiamata di un più o meno disperato e depresso regista teatrale.
In crisi d’identità e finanziaria, intende allestire una libera e semiseria edizione dell’Amleto, al limite della farsa, fra molti disagi e poche risorse, in una chiesetta inglese, sconsacrata. Anche se, “non tutti possono permettersi il lusso di nutrirsi l’anima, che è prerogativa dei romantici”, dice il saggio Carnforth (Alberto Piccio), tra un bicchiere e l’altro.
L’esilarante sequenza iniziale degli “scoraggianti provini”, mette subito a fuoco i contorni quasi surreali della “scalcagnata compagnia di guitti”. Si compone di una serie di soggetti, titubanti e litigiosi, che si calano in ruoli e personaggi, e quindi attori, per riscoprirsi nel contempo uomini, donne e gay, ognuno con la propria storia, le proprie manie, fobie, pregiudizi, difetti, desideri e velleità. Questa eccentricità e le loro nevrosi esistenziali li rendono intercambiabili e sovrapponibili nella comune e fluttuante identità di attori e di persone che interpretano se stesse.

La rappresentazione parte lenta e un po’ noiosa per prendere ritmo e brillantezza via via chi si dipana, fra prove, imprevisti, salti temporali e un po’ di creativo caos, fino al prevedibile, ma naturale e ineludibile finale, che solo la magia del teatro può regalare.
La struttura narrativa - in verità, deboluccia e incerta, e un po’ sospesa fra le linee della parodia e del dramma, più reale che di scena - non si sostiene sull’ironia e sulle classiche gag (un Amleto con colpi di mitra, schiaffi e cadute), ma, pur con qualche riflessione sulla difficile situazione del teatro - “quanto un dramma di Shakespeare può ancora interessare la gente?” - punta e scommette sulla caratterizzazione dei personaggi, che il testo dell’opera farà maturare e crescere, superando difficoltà e vicende personali.
Attraverso i sentimenti, il confronto con se stessi e con le proprie contraddizioni, tra sogni infranti, rivalità, solidarietà, amicizia e qualche complicità, ognuno troverà una ragione di vita e di speranza.

Una prova non facile per tutti, questo sentito omaggio alla musa del teatro, dove ogni attore si impegna a disegnare i contorni del proprio personaggio, come le sagome di cartone, rappresentanti il pubblico, che la brava scenografa Fadge (Ornella Petrucci) costruisce per evitare posti vuoti nella platea.
O come l’esuberante ed entusiasta Nina (Ofelia-Flaminia Scardaone), cui spetta un plauso per l’effervescenza e la naturalezza. O il disinvolto, anche nelle movenze, Terry (Andrea Pucciarmati), la puntuale, essenziale e un po’ sacrificata Paula (Simona Lattes), la giusta e precisa Molly (Giusi Martone) e l’appassionato Joe (Antonio Gentile), in cui il valore del sacro palcoscenico - su cui ognuno, come nel mondo, recita la sua fragile parte - prevale su quello della ricchezza materiale.
Per tutti gli altri, per la scenografia in diretta e per i suggestivi momenti interattivi tra sipario socchiuso e altre attrici in sala, con bimbo capelluto che vuol sapere del gelato, una nota di merito che va oltre la trama e gli schemi, non sempre lineari, a favore della parola, della gestualità e della capacità di emozionare.

Anche stavolta, i Con-Fusi teatranti, in cerca di conferme, di gloria e di consensi, hanno svolto con successo il loro ingrato, ma appassionante lavoro.
In fondo, diceva qualcuno, “recitare a teatro è rappresentare se stessi nudi e crudi camminando su assi scricchiolanti e dentro a costumi di scena che, nella maggior parte dei casi, assomigliano a un resort di lusso per tarme sedentarie.”
Tarme a parte, loro l’hanno fatto, senza nemmeno inciampare in quelle assi scricchiolanti.
17 gennaio 2016 (Alfredo Laurano)





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