venerdì 15 gennaio 2016

BUONANOTTE AI SENATORI

Dall’inizio di quest’anno non si parla che del fenomeno Zalone. “Quo Vado”, un successo senza precedenti, record di incassi e di pubblico, numeri da capogiro, sicuramente una grande operazione commerciale.
Chi lo ha visto e chi non lo vedrà per partito preso, chi lo snobba, chi lo esalta, chi lo distrugge. Sul giudizio di “Quo Vado” si è scomodato perfino Gramsci e la politica di oggi, il renzismo e il berlusconismo, le analisi socio-politiche sull’italiano medio. 
Si è cercato di attribuirgli un ridicolo mantello di appartenenza o di riferimento a una Destra o a una Sinistra o, comunque, un’etichetta populista e qualunquista.
Qualche presunto e illuminato critico (del F.Q.) a sua insaputa, pur di farsi notare e di guadagnare la palma dell’imbecillità, invita gli spettatori ad uscire dalla sala molto prima dei titoli di coda. Qualcuno consiglia di risparmiare i soldi del biglietto. Molti lo adorano. Per altri, è un mediocre di successo.

Cominciamo col dire che Luca Medici (alias Checco Zalone), laureato in legge, musicista, imitatore e cantante oltre che attore, naturalmente e fisicamente comico, non fa altro che il suo lavoro: far ridere. E lo fa bene, con misura e intelligenza e senza volgarità.
Con sarcasmo e ironia, descrive i vizi degli italiani e riesce anche a far pensare, oltre che ridere, quando accenna ad argomenti seri e delicati come il riscaldamento globale del pianeta, la carenza di vaccini nei villaggi africani, il mito della civiltà nordica. O quando lancia frecciatine allusive, quasi impercepibili, alla Tav, ai centri di accoglienza, ai "condannati alla partita Iva", ai fatti di terrorismo e al dramma dell'ondata migratoria, alle implicazioni razzistiche. Tutto trattato con leggerezza, con tatto e discrezione, come pochi sanno fare.  

Vis comica e satira si intrecciano nello specchio della realtà, quando racconta l’odissea di Checco che, pur di non abbandonare il mito del suo posto fisso, è disposto ad andare fino in Norvegia e al polo nord, fra le foche e gli orsi bianchi. Lì, fra magnifici scenari e ambientazioni, troverà l’amore di Valeria, una ricercatrice ecologista e anticonformista - “hai presente Cameron Diaz? Mettici dentro un po’ di Margherita Hack e una spruzzata di Licia Colò” - e affronterà un radicale cambio di vita.
Si immergerà in una cultura totalmente diversa dalla sua, fatta di gente virtuosa, libera, efficiente e senza pregiudizi, dove tutto funziona, è pulito e organizzato. Però per sei mesi l’anno è sempre notte e “tutti sono depressi. E si uccidono. Perché?"
Si adeguerà, accetterà l’idea di famiglia allargata e multietnica, abbandonerà ogni retorica maschilista, imparerà a non saltare le file e a non suonare al semaforo…ma, colpito nel profondo del suo essere, gli basterà vedere Al Bano e Romina nuovamente insieme in TV, per entrare in crisi, per rischiare di perdere tutto e tornare sui suoi passi. Ma qualcosa dentro di lui è cambiato per sempre…Ha subito un mutamento antropologico.

Eccellente ed adeguato il cast, straordinaria la fotografia, coinvolgente il ritmo, le musiche (sue) e la sceneggiatura.
Le gag di Zalone hanno senso e contenuto, non sono barzellette di Pierino portate sullo schermo, e contribuiscono a smuovere le coscienze e l’autoanalisi, con la forza dell'ironia e, a volte, del paradosso e del grottesco. Il suo stile elementare ma efficace e la sua comicità espressiva e naturale, colpiscono nel segno, come nelle battute lapidarie degli stupiti genitori, dei bambini e degli altri personaggi, mai banali, mai casuali. O come nel gustoso e significativo stornello della Prima Repubblica, dove fa devotamente il verso a Celentano.

Divertimento e tanti spunti di riflessione in questo film di “Cozzalone” (grossa cozza) - da cui autoironicamente deriva la scelta del nome d’arte di Checco Zalone - e di Gennaro Nunziante (il regista), che si sviluppa sul mito del posto fisso, ribadito a oltranza, ma che sa raccontare con simpatia e bonomia come siamo e come ci riconosciamo, un po’ boriosi e un po’ patetici, con tanti difetti, qualche mania e poche virtù.
E’ facile ridere degli altri, ma è cosa rara ridere di se stessi. Bisognerebbe farlo sapere a certa critica snobistica, persa nell’aristocrazia della sua sciocca vanità.
14 gennaio 2015 (Alfredo Laurano)

N.B. Una cara amica, che ringrazio molto, mi precisa il significato del termine "Cozzalone".

Gianna M
Sempre d'accordo con te, caro Alfredo! D'accordo con la tua critica nei confronti del film, nei confronti di Checco Zalone e nei confronti di quanti non lo apprezzano: d'accordo come sempre, in maniera imbarazzante.
Vorrei precisare una cosa, però: cozzalone non sta per grossa cozza ma per grande cozzalo.
Il termine "cozzalo" a Bari è un termine dispregiativo, sinonimo di cafone, burino, persona grossolana ed ignorante.
Deriva, per estensione di significato, dal dialetto "chezzale" (si pronuncia senza le "e".. più o meno così: chzzal) che significa contadino (inutile precisare che nei confronti del contadino, il termine non è dispregiativo).
Luca Medici, specialmente agli inizi della sua carriera, esibendosi nel programma televisivo Zelig, amava fare la caricatura dei cafoni e ci riusciva benissimo nel modo di esprimersi, di vestirsi e perfino di muoversi.
Dall' esclamazione "che cozzalone!" nasce Checco Zalone. 

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