lunedì 2 febbraio 2015

DE VULGARI ELOQUENTIA

La lingua batte dove moda vuole
La lingua cambia, sempre e in ogni tempo. Si modifica, si trasforma, si adegua ai cambiamenti dell’uomo, della società, del costume, delle scoperte scientifiche e tecnologiche, delle stesse tecniche di comunicazione.
Con la differenza che, rispetto a ieri e fino a inizio novecento, tali cambiamenti sono oggi popolari e riguardano tutti, mentre una volta toccavano solo alcune élite di eruditi e intellettuali, come era per lo studio ed il sapere stesso.
Ma non sempre si evolve e si migliora.

Nel vocabolario di una certa modernità, nascono e si riproducono, quasi puntualmente, parole, espressioni, neologismi e modi di dire che, per vari motivi, diventano di moda. Come un vino, una grappa barricata, un abito firmato, un prezioso oggetto di mercato.
Spesso sono vere caricature semantiche, storpiature, inciampi lessicali o inutili capricci tautologici che ci regala l’omologazione dello scrivere come gli altri e l’ozio di pensare, a cui tutti, o quasi, indulgono e si adeguano, non solo nell’uso comune e quotidiano. Una corretta analisi filologica potrebbe aiutare a interpretare questi parti folli e prematuri e a spiegare l’origine di tali aberrazioni del linguaggio. Ma non è questa la sede adatta.

Ne parlavo giorni fa con una cara amica che soffriva lo stesso linguistico tormento.
"Assolutamente sì”, “solare", "pazzesco", l’inflazionatissimo “attimino”, "a 360 gradi", "senza se e senza ma", "attenzionare", “buonista”, "di ogni", "e quant'altro", "piuttosto che", “il fine settimana”, l’Ochei a ogni esordio di discorso, “cioè” all’inizio di ogni risposta, la pronuncia di "midia e sammit" (che trasforma in inglese anche il latinorum) sono solo un breve campionario.
Sono espressioni orrende e frasi fatte prese in prestito da nuovi prosatori - che qualcuno ha definito "cretini cognitivi" - dal gergo politico, manageriale, dal marketing, dallo slang giovanile e da volgari semplificazioni che prevedono di scrivere pure "kasa, ekkome". Il tutto ripetuto da tutti all’infinito.

Le ho definite - forse esagerando, ma per rendere l’idea - aborti semantici o blande forme di onanismo dialettico o di incontinenza logorroica (come quando qualcuno si parla addosso) che rilasciano una strana sensazione d’euforia letteraria. 

Come se si fumassero l’erba del vocabolario.
Che ci posso fare, dopo un po’ di ascolto o di lettura di tali lirici versi, a me viene l’orticaria.

Gran parte della responsabilità è da attribuire ai social network, ai telefonini, alla martellante pubblicità commerciale che lava cellule e neuroni del cervello.
O all’ uso spregiudicato del Web, in generale, capace di diffondere, con immediatezza e senza l’obbligo di cercare un’origine o un perché, ogni trovata parolaia da spargere sul fertile terreno dell'omologazione del linguaggio, anonimo e compulsivo.
E, ovviamente, senza ottenere il benestare dell’Accademia della Crusca.

A volte, soprattutto nel comporre i milioni di pizzini digitali di WhatsApp, molti ne fanno una questione di economia: scrivono “x” per dire per, “cmq” per dire comunque, “6” per dire sei (verbo), “sn stnc” per dire sono stanco, “tvb” per dire…questa è facile e non la dico.
Lo fanno per "risparmiare" un innocuo articolo (la), una povera congiunzione o le inutili vocali, che possono esser abolite, usando solo consonanti.
Il congiuntivo si è quasi estinto o, al massimo, è una variabile impazzita.
E la punteggiatura? Cos’è? - domanderà qualcuno.
Non esiste o è rarissima e casuale: non sia mai, dovesse dare un senso a ciò che scrivo!
E, poi, non stiamo qui a “puntualizzare” !!??

“Melius deficiere quam abundare!” 
 Tanto per ribaltare la nota sentenza latina: un articolo oggi, un aggettivo domani, una virgola mai…risparmia oggi, risparmia domani...si ritrovano nel tempo un ricco tesoretto d'ignoranza.
Non possiamo sputtanare pure Dante. Manzoni e Leopardi, anche se viviamo in tempi di totale rottamazione!
Noi, dicevo all' amica Gianna, senza presunzione, preferiamo restare poveri ma linguisticamente belli! Almeno ci proviamo.
 (Alfredo Laurano)

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