lunedì 10 febbraio 2020

VICENDA GRAVISSIMA E QUASI DISUMANA /1961


“Da quasi 5 anni attendiamo tutti questo momento.
Da un lato non vedo l’ora che arrivi domani, dall’altro è talmente tanta la paura di un ulteriore delusione che vorrei non arrivasse mai”. Lo scriveva due giorni fa Alessandro Carlini, cugino di Marco, interpretando il pensiero di moltissimi.

“Marco Vannini non è morto per un colpo di arma da fuoco, ma è morto per un ritardo di 110 minuti nei soccorsi, da parte della famiglia Ciontoli”, così il sostituto procuratore generale della Cassazione, che ha accolto il ricorso della Procura e annullato la sentenza di appello. Ci sarà un nuovo processo per omicidio volontario, a carico dei Ciontoli che “ha seguito passo per passo l’agonia di Marco, pensando solo a salvare il suo posto di lavoro”.

Oggi, dopo l’intensa giornata di ieri, piena di sentimenti contrastanti, di ansia e batticuore, di inquietudine e trepidazione, mischiati a qualche frammento di speranza, e una notte, per molti agitata e inquieta, l’emozione si è attenuata, si è placata e diluita in una nuova consapevolezza, come la quiete dopo la tempesta leopardiana o come lo stato d’animo collettivo che i tedeschi, nel XVIII secolo, chiamavano Sturm und Drang (tempesta e impeto), gettando le basi della poetica e della letteratura del preromanticismo.
Come si è smussata e poi spenta l’ansia corrosiva dell’attesa, nella palpitante mobilitazione dei tantissimi, convenuti in un sit-in, per condividere pathos e solidarietà, nel fondato timore di dover soffrire e assistere a un’altra sconcertante giornata di tristezza e di profonda delusione.

Tutti, anche quelli che hanno seguito sui siti e sulla stampa, minuto per minuto, avvertivano questo stato confusionale di turbamento e di apprensione, in un casuale garbuglio di sensazioni incerte e coinvolgenti, che ora ha lasciato spazio alla naturale commozione, alle lacrime, per la prima volta di gioia, a una giusta soddisfazione e all’ opportuno, necessario momento di riflessione.
Come ho scritto ieri, a caldo, ci son voluti quasi cinque anni di dolore, di pianti, di rabbia, di rinnovata sofferenza, di speranze e frustrazioni, a carico della distrutta famiglia di Marco, dei 68000 del gruppo di sostegno e di una buona parte d'Italia, ferita e offesa, per cominciare a vedere un pezzetto di giustizia che si fa strada in nome di Marco, da lontano. Uno spiraglio di fiducia all'orizzonte.
Si torna, quindi, in Corte d’Assise.
Ma non cantiamo vittoria, non esultiamo per un successo che non c’è, non facciamoci illusioni: la strada è ancora lunga e piena di ostacoli e sorprese, di sassi, di buche e curve pericolose, di asperità, intoppi e difficoltà di ogni genere. Ce l’ha insegnato, in questi lunghi anni, questa assurda vicenda, questa morte senza un perché e senza colpevoli veri, soprattutto in via dibattimentale, dove contraddizioni, pregiudizi, falsità, testimonianze ignorate, indiscrezioni, indagini ridicole e approssimative hanno dato il senso di una giustizia ingiusta e “apparecchiata”.

Intanto, sarà bene chiarire alcuni dubbi che subito qualcuno ha sollevato, dopo questo epocale terzo grado di giudizio.
Saranno altri giudici della sezione penale della Corte d’Assise d’appello a dover giudicare, sulla base delle indicazioni che la Corte di Cassazione ha dato.
Bisognerà ovviamente attendere le motivazioni per capire su quali aspetti ha ritenuto che la sentenza d'appello andasse cassata.
Gli avvocati si muoveranno sulla base di questi paletti giudiziari e si farà un nuovo processo, dinanzi ad una Corte diversa da quella precedente, che sarà tenuta ad intervenire, partendo dal fatto che la Cassazione ha spazzato via l'ipotesi del colposo e ha richiesto di dover riesaminare il caso nell'ottica del volontario (sotto il profilo del dolo eventuale), per tutti e 4 gli imputati.
Viola Giorgini è stata già assolta e la sentenza è passata in giudicato. Quindi non può rientrare nel processo come imputata, ma potrebbe essere chiamata in causa per reati diversi o diventare testimone.

Tutto da rifare, tutto ancora da chiarire e da spiegare: dubbi su chi ha sparato e perchè, dubbi sul luogo dello sparo, sul gioco finito male, sulla presenza reale di Ciontoli padre, sulla presunta telefonata con il maresciallo Izzo, sulla maglietta che Marco indossava quel giorno, mai ritrovata e non restituita ai suoi genitori, insieme alle sue cose. E tanto altro ancora.
Il nuovo appello li chiarirà? Darà le risposte che tutti aspettano? Farà giustizia? Conforterà quei disperati genitori che vogliono conoscere quei tanti perché e che, soprattutto, hanno il diritto di sapere.
Verrà punita questa vicenda “gravissima e quasi disumana”?
8 febbraio 2020 (Alfredo Laurano)

Nessun commento:

Posta un commento