“Da quasi 5 anni
attendiamo tutti questo momento.
Da un lato non vedo l’ora
che arrivi domani, dall’altro è talmente tanta la paura di un ulteriore
delusione che vorrei non arrivasse mai”. Lo scriveva due giorni fa Alessandro
Carlini, cugino di Marco, interpretando il pensiero di moltissimi.
“Marco Vannini non è
morto per un colpo di arma da fuoco, ma è morto per un ritardo di 110 minuti
nei soccorsi, da parte della famiglia Ciontoli”, così il sostituto procuratore
generale della Cassazione, che ha accolto il ricorso della Procura e annullato
la sentenza di appello. Ci sarà un nuovo processo per omicidio volontario, a
carico dei Ciontoli che “ha seguito passo per passo l’agonia di Marco, pensando
solo a salvare il suo posto di lavoro”.
Oggi, dopo l’intensa
giornata di ieri, piena di sentimenti contrastanti, di ansia e batticuore, di
inquietudine e trepidazione, mischiati a qualche frammento di speranza, e una
notte, per molti agitata e inquieta, l’emozione si è attenuata, si è placata e
diluita in una nuova consapevolezza, come la quiete dopo la tempesta
leopardiana o come lo stato d’animo collettivo che i tedeschi, nel XVIII
secolo, chiamavano Sturm und Drang (tempesta e impeto), gettando le basi della
poetica e della letteratura del preromanticismo.
Come si è smussata e poi
spenta l’ansia corrosiva dell’attesa, nella palpitante mobilitazione dei
tantissimi, convenuti in un sit-in, per condividere pathos e solidarietà, nel
fondato timore di dover soffrire e assistere a un’altra sconcertante giornata
di tristezza e di profonda delusione.
Tutti, anche quelli che
hanno seguito sui siti e sulla stampa, minuto per minuto, avvertivano questo
stato confusionale di turbamento e di apprensione, in un casuale garbuglio di
sensazioni incerte e coinvolgenti, che ora ha lasciato spazio alla naturale
commozione, alle lacrime, per la prima volta di gioia, a una giusta
soddisfazione e all’ opportuno, necessario momento di riflessione.
Come ho scritto ieri, a
caldo, ci son voluti quasi cinque anni di dolore, di pianti, di rabbia, di
rinnovata sofferenza, di speranze e frustrazioni, a carico della distrutta
famiglia di Marco, dei 68000 del gruppo di sostegno e di una buona parte
d'Italia, ferita e offesa, per cominciare a vedere un pezzetto di giustizia che
si fa strada in nome di Marco, da lontano. Uno spiraglio di fiducia
all'orizzonte.
Si torna, quindi, in
Corte d’Assise.
Ma non cantiamo vittoria,
non esultiamo per un successo che non c’è, non facciamoci illusioni: la strada
è ancora lunga e piena di ostacoli e sorprese, di sassi, di buche e curve
pericolose, di asperità, intoppi e difficoltà di ogni genere. Ce l’ha
insegnato, in questi lunghi anni, questa assurda vicenda, questa morte senza un
perché e senza colpevoli veri, soprattutto in via dibattimentale, dove
contraddizioni, pregiudizi, falsità, testimonianze ignorate, indiscrezioni,
indagini ridicole e approssimative hanno dato il senso di una giustizia
ingiusta e “apparecchiata”.
Intanto, sarà bene
chiarire alcuni dubbi che subito qualcuno ha sollevato, dopo questo epocale
terzo grado di giudizio.
Saranno altri giudici
della sezione penale della Corte d’Assise d’appello a dover giudicare, sulla
base delle indicazioni che la Corte di Cassazione ha dato.
Bisognerà ovviamente
attendere le motivazioni per capire su quali aspetti ha ritenuto che la
sentenza d'appello andasse cassata.
Gli avvocati si
muoveranno sulla base di questi paletti giudiziari e si farà un nuovo processo,
dinanzi ad una Corte diversa da quella precedente, che sarà tenuta ad
intervenire, partendo dal fatto che la Cassazione ha spazzato via l'ipotesi del
colposo e ha richiesto di dover riesaminare il caso nell'ottica del volontario
(sotto il profilo del dolo eventuale), per tutti e 4 gli imputati.
Viola Giorgini è stata
già assolta e la sentenza è passata in giudicato. Quindi non può rientrare nel
processo come imputata, ma potrebbe essere chiamata in causa per reati diversi
o diventare testimone.
Tutto da rifare, tutto
ancora da chiarire e da spiegare: dubbi su chi ha sparato e perchè, dubbi sul
luogo dello sparo, sul gioco finito male, sulla presenza reale di Ciontoli
padre, sulla presunta telefonata con il maresciallo Izzo, sulla maglietta che
Marco indossava quel giorno, mai ritrovata e non restituita ai suoi genitori,
insieme alle sue cose. E tanto altro ancora.
Il nuovo appello li
chiarirà? Darà le risposte che tutti aspettano? Farà giustizia? Conforterà quei
disperati genitori che vogliono conoscere quei tanti perché e che, soprattutto,
hanno il diritto di sapere.
Verrà punita questa
vicenda “gravissima e quasi disumana”?
8 febbraio 2020 (Alfredo
Laurano)
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