giovedì 6 febbraio 2020

LA PISTOLA CHE NON SPARA, LA FERITA CHE NON SANGUINA /1959



Ormai ci siamo. Siamo all’ultimo atto (forse) della vicenda processuale sulla morte di Marco Vannini.
Domani 7 febbraio, la Cassazione farà calare il sipario sulla storia giudiziaria del giovane “ucciso per gioco o per sbaglio” dalla famiglia della sua fidanzata, quasi cinque anni fa. Ma non su quella umana e sentimentale che, comunque andrà, resterà qualcosa di assurdo, di incredibile, di illogico e senza senso per la famiglia, per la comunità locale e per un bel pezzo di italiani, stupefatti e attoniti.

Un caso a dir poco atipico e, per certi versi, tragicamente comico e dai risvolti più teatrali che reali, più strazianti che ordinari, nelle sue allucinanti e improbabili dinamiche, nella sua angosciante sequenza spazio-temporale e nella sua folle e dolorosa concretezza. Soprattutto, per i moltissimi aspetti colti, percepiti, analizzati e raccontati, a volte anche in chiave ridicola e beffarda, in tutti questi anni di udienze, testimonianze, reticenze, polemiche, minacce, sentenze, menzogne e falsità.
Una mirabolante commedia dell’assurdo, dai toni vagamente granguignoleschi e macabri, da una parte, al limite del burlesco e del canzonatorio, dall'altra, per i tanti spettatori non paganti, ma empaticamente partecipanti, a titolo umanitario e solidale, che in tutto questo tempo hanno sostenuto quegli sconvolti genitori, i familiari tutti, contro la grondante ferita della logica e del buon senso.

Ma sarà bene ricordare a tutti, soprattutto a chi si aspetta ulteriori condanne e colpi di scena, che quest’ultimo grado di giudizio dovrà soltanto pronunciarsi sui ricorsi presentati da Procura e Difesa contro la decisione di condannare Antonio Ciontoli a 5 anni per omicidio colposo e a 3 anni la moglie Maria Pezzillo e i figli Federico e Martina.
Perciò la richiesta del procuratore è l'annullamento della sentenza e una riformulazione del reato da omicidio colposo a volontario, con il rinvio a un’altra sezione della Corte d’Assise d’Appello affinché sia riconosciuta la responsabilità penale in relazione al delitto di omicidio volontario per tutti gli imputati. In subordine chiede che vengano «disconosciute per il capofamiglia le attenuanti generiche ovvero siano le stesse attenuanti riconosciute subvalenti rispetto all’aggravante» contestata; per i familiari che venga riconosciuta l’aggravante della colpa cosciente, del delitto di omicidio colposo, come confermato dalla Corte.
Per l’avvocato Celestino Gnazi (famiglia Vannini), i principi del dolo eventuale «sono stati mal applicati dalla sentenza di secondo grado che, anche ricostruendo malamente il fatto, avrebbe dovuto applicare i principi di diritto, emettendo dunque una sentenza «di omicidio volontario per tutti».
Di contro, la Difesa dei Ciontoli ha presentato ricorso per l'intera famiglia per ridurre la pena: per Antonio Ciontoli chiede l'esclusione dell'aggravante della colpa cosciente, mentre per la moglie e i due figli, la richiesta è la riqualificazione del reato in favoreggiamento e, in subordine, in omissione di soccorso.

Quindi, domani, la Cassazione non entrerà nel merito dei fatti e di nuove testimonianze e confidenze successive alle sentenze di primo e secondo grado (le dichiarazioni della vicina di casa sulla presenza di Ciontoli padre e della sua auto, o di Vannicola sul maresciallo Izzo, secondo il quale a sparare a Marco non sarebbe stato il capofamiglia ma il figlio, Federico), ma deciderà unicamente se rinviare tutto alla Corte d’Assise d’Appello (e rifare il processo) o confermare le sentenze del secondo grado.
Alle dieci, davanti al “teatro” del Palazzaccio a Roma, avrà luogo "Una passeggiata per la Giustizia", una manifestazione silenziosa di tantissima gente, che, senza bandiere e striscioni, attenderà il verdetto e darà forza e solidarietà alla tenace famiglia Vannini, in un grido disperato di verità e giustizia.
6 febbraio 2020 (Alfredo Laurano)

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