sabato 22 febbraio 2020

STORIA DEL NUOVO COGNOME

Stasera, la seconda puntata in Tv della nuova serie "Storia del nuovo cognome", secondo libro del ciclo de L’amica geniale, un successo da milioni di copie vendute in tutto il mondo.
Ripartendo da dove il primo volume si era interrotto, il romanzo prosegue nel racconto delle vite delle due protagoniste, Lila e Lenù, sempre sullo sfondo di una Napoli realistica, “luogo bello e straziante”, anche se con l'aggiunta di nuove ambientazioni.
Qui commentavo la prima parte.


LA MIA GENIALE AMICA di Alfredo Laurano  MARTEDÌ 18 DICEMBRE 2018

Autentica poesia e forti emozioni fin da titoli, con quelle meravigliose foto di famiglie e di persone: ritratti, freeze-frame che fissano un’espressione, che riflettono un carattere, che anticipano un modo di essere e di vivere.
L'amica geniale, la serie tratta dal best-seller di Elena Ferrante - "una lettura ipnotica”, secondo Hillary Clinton e in vetrina in tutte le librerie del mondo - diretta da Saverio Costanzo, si conclude oggi su Raiuno, dopo aver raccolto grande successo e infiniti consensi. Racconta l’avvincente storia di Lila e Lenù (ad interpretarle da bambine sono Ludovica Nasti e Elisa Del Genio, da adolescenti hanno il viso di Gaia Girace e Margherita Mazzucco, tutte superlative): Elena (Lenù) è bionda e timida, testimone e narratrice di un’epoca che cambia. Raffaella (Lila), scura, vulcanica e, appunto, geniale, sa che la conoscenza può sfatare la paura e intuisce presto che senza l’amore soffre tutta la comunità. 
Le bambine vivono in un difficile contesto sociale in cui regna la povertà. Studiare è un lusso, che solo Lenù potrà permettersi. Entrambe, diversamente protagoniste della propria vita, hanno la stessa voglia di scoprire, di evadere, di scrivere un libro come “Piccole donne”, per crescere, per emanciparsi dalla precarietà, dall’ignoranza. Ma le loro storie finiranno per intrecciarsi, sempre nel rione. Anche se molto diverse, sono attratte una dall’altra e iniziano a giocare insieme nel quartiere napoletano in cui sono cresciute. Un agglomerato di grigie palazzine e polvere, una Napoli dove il mare è una chimera, in cui comanda don Achille, camorrista che fa paura a tutti. Nasce una forte amicizia, dove l’affetto non esclude una punta di invidia e di segreta competizione, che le spinge a migliorarsi per cercare di primeggiare sull’altra.

Il film narra, con voluta freddezza, senza compiacimenti retorici, senza fronzoli moraleggianti, la loro complessa fanciullezza - e poi la giovinezza - i turbamenti, le aspirazioni, i loro desideri di bambina, ma anche il vero volto del dolore, la commozione, i dubbi, la rabbia, i contrastanti sentimenti e la fatica di vivere, sempre con bellezza e grazia. Tutto ciò, attraverso quadri e sequenze di altissimo livello cinematografico e narrativo, non sempre drammatici di per se, ma sintomi prodromici che preludono a un possibile dramma, che annunciano un triste epilogo violento. 

C’è molto o quasi tutto in questo meraviglioso affresco della Napoli anni cinquanta, che affligge e muove la coscienza: l’arroganza e la prepotenza dei ricchi e dei padroni, la speculazione di usurai e sfruttatori, il disagio della precarietà e di chi sopravvive a stento. C’è la violenza che nasce dalla miseria, la cattiveria endemica del rione, le chiacchiere, i pettegolezzi e le insinuazioni di chi si affaccia o scruta dal balcone, o guarda gli altri con sospetto e prevenzione. Ci sono i rudi padri padrone che decidono, che comandano e picchiano le mogli sottomesse. O che lanciano la disobbediente Lila dalla finestra. Sullo sfondo, ma sempre ben evidente, l’eterno conflitto fra lusso e povertà, tra opulenza e carestia, tra figli di signori e figli di scarpari e poveretti.
“L’ amica geniale” è un’occasione di precoce maturità, di risarcimento morale e civile, ma anche motivo di riscatto sociale: fierezza, orgoglio, capacità, ostinazione e capa tosta sono essenziali strumenti di lotta e di ribellione a uno statu quo insopportabile, dove l’istinto è guidato dall’intelligenza, che prevale in ogni situazione. Come lo stesso linguaggio, grandioso mezzo espressivo, elemento fondamentale della narrazione filmica. 

Un’opera preziosa, di assoluto fascino e ampio respiro, che coinvolge e appassiona come un romanzo epico o un giallo di Maigret. Che non dà tregua e non consente pause d’attenzione. Trama, bravi attori (tutti), fotografia, ambientazioni, ricostruzioni, inquadrature, movimenti di macchina, campi lunghi e totali di larga portata - che celano anche recondite metafore, come la intrigante simbologia del mare -costringono lo spettatore alla partecipazione attiva, alla catarsi, all’empatia e al tifo per gli esclusi e i vinti. 
Perché, scrive la Ferrante, “esistere è questo, un sussulto di gioia, una fitta di dolore, un piacere intenso, vene che pulsano sotto la pelle, non c'è nient'altro di vero da raccontare". (Alfredo Laurano)


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