lunedì 28 maggio 2018

SAVONA O MORTE


E meno male che, fino a poco tempo fa, ce l’avevano tutti, o quasi, con l’emerito ex presidente Napolitano: troppo interventista, decisionista, sapiente calcolatore, per anni dominus della politica italiana, capace di fare e disfare governi, influenzandone le scelte e condizionandone le strategie!
Il mite Mattarella, come sempre instampellato e riservato, ha invece giocato d’astuzia, surrettiziamente, sornione e misurato, secondo la tipica tradizione democristiana.
Dopo aver a lungo minacciato e annunciato un esecutivo del presidente o istituzionale, ha affidato il formale incarico di formare un governo (che, in realtà, non aveva alcuna intenzione di far nascere, visto che non ha dato mandato di esplorazione alla coalizione, ma a uno sconosciuto suggerito dalla stessa) a chi aveva sulla carta una possibile maggioranza in Parlamento, convinto che non si sarebbero messi d’accordo. Che reddito di cittadinanza, flat tax e abolizione della legge Fornero, mai avrebbero visto la luce, data la difficile impresa di trovare le risorse per le relative coperture. Che quindi avrebbero fallito e giustificato il suo governo di emergenza, ora, infatti, affidato a Cottarelli.
E, soprattutto, senza andare contro l’Europa e i suoi voleri, in un contesto di ordine economico mondiale, dove procedure e parametri sono interconnessi, e con un debito pubblico troppo alto, che non consente margini di manovra.
La previsione, però, era sbagliata, tanto che si è arrivati alla lista concordata dei ministri.
Paolo Savona - economista di valore, una carriera in Banca d’Italia con Guido Carli e già ministro del governo Ciampi - indicato quale ministro dell’Economia è diventato allora solo un pretesto per far fallire il banco, dopo 85 giorni di giochi, finte, accordi e soluzioni.
La sua nomina, preceduta dagli attacchi della stampa estera e dei cosiddetti poteri forti (segnali eloquenti), ha trovato la censura del capo dello stato, nonostante avesse cercato di tranquillizzare Quirinale, spread e Mercati, precisando la natura del suo rapporto con l'Europa: “Voglio un'Europa diversa, più forte, ma più equa, oltre la riduzione del debito e la crescita del Pil".
Ma non è stato sufficiente, nemmeno la pubblica abiura avrebbe riabilitato l’eretico ottantaduenne, ormai noto e dipinto come sovversivo antieuropeista: trattative e strategie hanno lasciato il campo allo scontro che si è fatto istituzionale.
Ci si chiede, tuttavia, perché, pur di raggiungere l’agognata meta, il duo delle meraviglie giallo-verdi non abbia accettato la possibile e prevedibile soluzione Giorgetti per il conteso dicastero, che avrebbe inchiodato o sbugiardato le intenzioni del rigido Mattarella.
Forse, a dispetto del disagiato premier incaricato Conte, del ridicolo teatrino dei ruoli e delle parti e a prescindere da come sarebbe teoricamente andato il cosiddetto “governo del cambiamento”, sarebbe bastato non far partire affatto il contratto di programma, non accettare una maggioranza così ambigua e strana e un governo anti-sistema che, secondo Mattarella, avrebbe ferito la Costituzione, umiliato il ruolo di garanzia della presidenza della repubblica, ridiscusso la permanenza nell’Euro e messo in pericolo i risparmi degli italiani.
Ma tutto ciò non avrebbe fatto sorridere e premiato, ancora una volta, gli eurocrati di Bruxelles che decidono politiche, nomine, vincoli e destini dei Paesi membri, sapientemente colonizzati. (Alfredo Laurano)



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