venerdì 18 maggio 2018

NON IN SUO NOME


Ieri sera, a Cerveteri, diecimila persone hanno sfilato in corteo, con fiaccole, magliette, cartelli, striscioni e palloncini per chiedere giustizia per Marco Vannini, il ragazzo ucciso esattamente tre anni fa dal padre della sua fidanzata, Antonio Ciontoli, in circostanze mai chiarite dal relativo processo. “Verità andiam cercando, ch'è sì cara”, era certamente il pensiero intimo di tutti e di ciascuno.
La sentenza di primo grado e le miti condanne irrogate sono state ritenute ingiuste e insufficienti da quasi tutto il popolo italiano. Comprese stampa e TV che hanno seguito parecchio il caso, con inchieste, servizi, ricostruzioni e trasmissioni di approfondimento.

Una serata di straordinaria solidarietà e protesta che si è riflessa e replicata, in contemporanea, anche in molte altre città: da Roma a Milano, da Cagliari a Reggio Calabria, da Arezzo a Bologna, a Olbia e Sanremo, dove in tanti sono scesi in piazza per dissociarsi da quella sentenza, emessa "non in mio nome" - è lo slogan che ha guidato la protesta - diffondendo anche un intenso tam-tam di video, immagini e dirette social, per chi non c’era o non poteva partecipare.
Ma anche per raccogliere i lamenti di Marco, uditi e riuditi nelle ormai note telefonate al 118, che hanno trafitto e turbato le coscienze dei suoi genitori e di migliaia di cittadini e famiglie, e rispondere, simbolicamente, alla sua inascoltata domanda di aiuto.

Una storia incredibile e odiosa, quella di Marco, che ha sconvolto la pubblica opinione, non solo a livello mediatico, come insinua con malizia qualcuno.
La ricostruzione del presunto incidente a Ladispoli, i tempi ritardati della chiamata dell’ambulanza, l’omissione al telefono del colpo di pistola e le altre bugie e contraddizioni nella versione iniziale dell’accaduto fanno pensare a qualcosa di molto diverso dal fatto accidentale.
E’ per questo che il giudizio pronunciato il 18 aprile scorso dalla Corte d’Assise ha suscitato dubbi e polemiche.
Resta e si rinnova la voglia di giustizia, l’urgenza di sapere e di conoscere come e perché un ragazzo di vent’anni sarebbe stato ucciso, per sbaglio, in una vasca da bagno, a casa della sua seconda famiglia, che “lo amava tanto…come un figlio” e che avrebbe potuto salvarlo, semplicemente soccorrendolo, con tempestività.
Un’esigenza legittima, non solo ieri rappresentata a livello di popolo indignato, perché le pene sono apparse comunque inadeguate e, soprattutto, perché la verità vera non è ancora venuta fuori.
18 maggio 2018 (Alfredo Laurano)


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