martedì 15 maggio 2018

INAUGURAZIONE CON MASSACRO

Da quando, cinque mesi fa, Donald Trump ha annunciato la scelta di trasferire l'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, confermandone il riconoscimento come capitale d'Israele, la tensione è aumentata sempre di più e i giorni della collera palestinese hanno visto morire decine e decine di persone.
Benzina sul fuoco che cancella parole come dialogo, compromesso, riconoscimento delle ragioni e dell'identità nazionale, sempre più estranee al vocabolario politico mediorientale, e che lasciano il posto ai sentimenti contrapposti di rabbia e dolore.

Nel giorno dell'"Intifada dell'ambasciata", si spara a Gaza, mentre in una Gerusalemme blindata si inaugura la nuova sede della discordia: "Che giorno fantastico!”, twitta il premier israeliano Netanyahu, mentre il numero di morti e feriti aumenta di ora in ora e scandisce il settantesimo anniversario della fondazione dello Stato d'Israele: la "catastrofe" per i palestinesi.

I soldati israeliani, tra proclami, minacce e ultimatum, aprono il fuoco contro migliaia di palestinesi che manifestano entro i confini di Gaza, che si avvicinano alla frontiera, lanciano pietre in direzione dei soldati che rispondono sparando, non per esercitare il diritto di difesa, ma praticando terrorismo di Stato. Un massacro a sangue freddo, durante una protesta nella più grande prigione a cielo aperto.
58 morti, otto hanno meno di 16 anni, c'è anche una donna e oltre 2.700 feriti, troppi per gli ospedali palestinesi. Tra le vittime anche un bambino ucciso dai gas lacrimogeni.
“E' stato un tiro al bersaglio commesso dalle forze di occupazione israeliane contro il nostro popolo eroico", ha detto il portavoce del governo palestinese, chiedendo un intervento internazionale immediato per fermare il terribile massacro. Gli israeliani hanno risposto che “chiunque si avvicini alla barriera tra Gaza ed Israele viene considerato un terrorista".
Per Donald Trump, responsabile morale di tutto questo, i morti di Gaza non sembrano esistere o vengono ridotti ad "effetti collaterali", dolorosi, forse, ma che non intaccano la giustezza delle scelte compiute.
Il trasferimento dell'ambasciata, reale avamposto americano, costituisce, in ogni caso, un insulto alla pace e una dichiarazione di guerra contro il popolo palestinese. (Alfredo Laurano)

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