domenica 13 maggio 2018

RADIO AUT, VOCE LIBERA


Quarant’anni fa, il 9 maggio 1978, veniva ritrovato il cadavere di Aldo Moro in via Caetani, a Roma, ucciso dalle Brigate rosse dopo 55 giorni di prigionia. Stampa e Tv, in questi giorni, hanno giustamente dedicato ampi spazi per ricordarlo con film, letture, articoli, ricostruzioni, documentari, dibattiti. Particolarmente interessanti la fiction “Moro il professore” e il programma “M” (prima parte) di Santoro, fra docufilm, testimonianze e momenti di teatro.
Ma quel 9 maggio fu anche il giorno della morte di Peppino Impastato, il trentenne giornalista e attivista siciliano - ucciso dalla mafia, a Cinisi, per ordine del boss Gaetano Badalamenti - che ebbe anche il torto di farsi ammazzare proprio il giorno del ritrovamento del corpo di Moro e, quindi, quasi ignorato dalla grande macchina mediatica, che oscurò completamente la notizia di quell’omicidio di provincia.
La Sette, con Andrea Purgatori, ha mandato in onda il film di Marco T. Giordana, “I cento passi”, che, nel 2000, ne fece conoscere la drammatica vicenda.
Il corpo del giovane Peppino, che era candidato alle elezioni comunali con Democrazia Proletaria, fu fatto saltare con del tritolo sui binari della ferrovia Palermo-Trapani, per far credere che si trattasse di un attentato terroristico suicida.
Fra depistaggi, responsabilità della stampa, delle forze dell’ordine, archiviazioni e riaperture del caso, accompagnate da petizioni popolari, solo la determinazione della madre Felicia, e del fratello Giovanni - oltre al prezioso lavoro del giudice Rocco Chinnici, assassinato anch’egli dalla mafia nel 1983 - fecero emergere nei lunghi 24 anni la matrice mafiosa dell’omicidio. Fino alla verità e alle condanne del 2002 dell’esecutore Palazzolo, a 30 anni, e del mandante Badalamenti, all’ergastolo, entrambi poi morti in carcere.

Era un destino forse segnato quello di Peppino Impastato, nato a Cinisi in una famiglia di mafia. Un suo zio era un boss di prima grandezza, suo padre, Luigi, era amico del numero uno di Cosa Nostra, Tano Badalamenti, che fu poi il suo assassino.
Ma il ribelle, militante sinistra cambiò la sua sorte: fin da ragazzo prese le distanze da quel mondo di mafiosi e cominciò a denunciare il potere delle cosche e il clima di omertà e di impunità del suo paese. Per questo motivo fu cacciato di casa, giovanissimo, dal padre.
Fondò il circolo Musica e Cultura, che promuoveva attività culturali e che diventò un importante punto di riferimento per i ragazzi di Cinisi, occupandosi di ambiente, di campagne contro il nucleare e di emancipazione femminile.
Nel 1977, con la sua cerchia di amici, creò Radio Aut, un’emittente autofinanziata di controinformazione, dalla quale derideva e sfidava la mafia e i politici locali, in trasmissioni satiriche e dissacranti.

La fine di Peppino, ucciso cinque giorni prima della sua elezione a consigliere comunale di Cinisi - fu votato comunque e fu simbolicamente eletto - cambiò drasticamente la vita di chi gli sopravvisse. Di tanti amici e compagni, di sua madre, Felicia, di suo fratello Giovanni, come di sua cognata Felicetta, che diventarono i custodi della sua memoria e combatterono, a lungo e con coraggio, per ottenere giustizia.
Le nuove generazioni hanno bisogno di conoscere queste storie che, al di là dell’omaggio alla memoria, dell’emotività narrativa, del possibile rischio didascalico o retorico, trasmettono messaggi educativi, rilanciano ideali popolari e sensibilità sociali, spesso dimenticati. 
Il futuro si può costruire anche in questo modo, perché la mafia uccide e il silenzio e l’oblio pure. (Alfredo Laurano)








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