venerdì 27 aprile 2018

UNA SCELTA DISPERATA


Eutanasia di Stato o accanimento terapeutico? Tenerlo attaccato al respiratore o distaccarlo per non farlo continuare a soffrire ulteriormente e morire per soffocamento?
Impossibile pronunciarsi, schierarsi, scegliere da profano o giudicare sul piano etico ed umano, cosa sia meglio fare nella triste vicenda del piccolo Alfie, al di là del dramma che si sta consumando a Liverpool.
Il diritto alla vita da una parte, la cessazione del dolore dall’altra, in una lenta agonia inumana. Chi deve decidere: lo Stato, i medici o i genitori?
Si può credere o non credere nei miracoli, ma resta il fatto che il piccolo Alfie Evans - come dice Magdi C. Allam - ha sconfitto la certezza scientifica dei medici e ha umiliato la credibilità giuridica della Corte Suprema della Gran Bretagna, sopravvivendo per dieci ore dopo l’esecuzione della condanna a morte inflittagli separandolo da quella macchina.

Alfie, 23 mesi, colpito da una malattia neurodegenerativa, non diagnosticata e non curabile, ha sconvolto i medici continuando a respirare autonomamente, con il solo ausilio dei due giovani genitori, che gli hanno praticato la respirazione bocca a bocca.
I medici sono stati costretti a ridare l’ossigeno e ad alimentare la creatura.
È sorprendente. “Non importa cosa accadrà, ha già dimostrato che i medici si sbagliano", ha scritto sul Web la mamma Kate. "Dicevano che stava soffrendo, invece non soffre anche senza respiratore. Gli stessi medici sono rimasti "esterrefatti", ha detto il papà Tom.

La decisione dei giudici - sembra che l'ospedale abbia fatto causa ai genitori, facendo togliere loro la patria potestà (secondo alcuni, non per fini umanitari, ma unicamente per necessità di liberare posti letti) - è stata presa in base a due sostanziali elementi: l'impossibilità della guarigione (il bambino è cieco, sordo, non può parlare) ed il dolore.
I medici sostengono, infatti, che il bambino prova un dolore intensissimo: il suo cervello, il sistema nervoso continua a danneggiarsi sempre più, il dolore deve essere davvero insopportabile, anche se non lo può esternare. Il solo contatto provoca crisi epilettiche e dolore, dolore, dolore. L’accanimento terapeutico, in questo caso c'entrerebbe niente, se non altro perché di terapie non ce ne sono.
É per questo motivo che la Corte avrebbe deciso nell'esclusivo interesse del bambino e non di quello dei genitori.

Gli stessi genitori, consapevoli della situazione, non chiederebbero terapie curative, neanche sperimentali, ma soltanto, con comprensibile insistenza, che questo figlio potesse continuare a vivere i giorni che gli restano, circondato dalle cure essenziali che il personale sanitario e loro stessi possono dargli per tutto il tempo necessario.
Cioè, né più e né meno che una scelta semplicemente palliativa che accompagni il bambino all'inevitabile, secondo quel principio di amore e pietà umana, che consente di prendersi cura di un essere vivente fino alla fine, anche quando non è possibile garantire cure e guarigione.

Per rispetto del diritto di scegliere di ciascuno, non mi permetto di giudicare, come nessuno dovrebbe fare - neanche quella Corte inglese, che sentenzia e respinge ricorsi - ma solo quello di rispettare la tragedia di quel bimbo e di quei disperati genitori.
Nessuno discute la gravità delle condizioni del piccolo Alfie, ma è giusto che lo Stato si sostituisca alla volontà degli interessati, impedendo a quel padre e a quella madre di stargli accanto, di portarlo a casa o anche in Italia al Bambino Gesù, disponibile ad accoglierlo?
In nome di quale principio di libertà può decidere di far vivere o morire?
26 aprile 2018 (Alfredo Laurano)



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