giovedì 19 aprile 2018

GRAMMI DI GIUSTIZIA


In molti lo pensavamo, in molti lo temevamo. Ma speravamo tutti in un botta di giustizia.
L’avvocato Messina, uno dei difensori della famiglia Ciontoli, a fine udienza, aveva così concluso il suo intervento: “cinque incensurati e smarriti in quel momento. Non contemplabile che volessero la morte di Marco. Vi affidiamo il futuro degli imputati”.
E la Corte ha recepito e scelto la clemenza.
Sempre stamattina, in aula, prima che venisse pronunciata questa timidissima sentenza, gli avvocati di parte civile Gnazi e Coppi avevano replicato all’arringa della difesa della precedente udienza, spiegando che si può praticamente parlare di omicidio volontario, con dolo eventuale. Antonio Ciontoli, dopo lo sparo, si sarebbe assunto il rischio delle sue azioni non allertando subito i soccorsi.
Anche per gli altri familiari si può parlare di concorso con la stessa imputazione, perché, dopo essersi resi conto di quanto stava accadendo, non hanno fatto nulla per far soccorrere Marco. Non hanno poi detto niente agli infermieri e, invece di agire, si sono adeguati al capofamiglia, aderendo alla sua scelta.
Per la difesa non sarebbe affatto così. “Non c’è un elemento che dimostri che i presenti avessero consapevolezza di quanto successo”, per l’avvocato Miroli.
Ma allora, Ciontoli doveva rispondere di omicidio colposo o dolo eventuale?
La tesi principale della difesa sosteneva che l’evento è riconducibile alla volontà del soggetto agente, perché il dolo è innanzitutto volontà. Quindi anche il fatto di accettare le conseguenze del proprio agire. Se però accetta quello che non vuole che accada è dolo eventuale.
Nella sentenza, quindi, mi par di capire, non è stato riconosciuto il dolo e le aggravanti, ma le circostanze attenuanti generiche. Vedremo le motivazioni.

Secondo l’avvocato Gnazi - che, in apertura aveva parlato di ricostruzione irreale, basata sulle dichiarazioni degli imputati che hanno taciuto la verità, che hanno mentito in continuazione e costruito con il silenzio e sulle loro menzogne un’inaccettabile tesi difensiva, mentre Marco emetteva urla disumane - l'aver riconosciuto Ciontoli colpevole di omicidio volontario, al di là dell'aspetto emotivo, è comunque una scelta coraggiosa da parte della Corte d'Assise, che gli ha inflitto 14 anni, 3 anni invece ai familiari, con Viola assolta, riducendo di molto le richieste del PM.
Non è stata una battaglia facile, si è riaffermata però la volontarietà e l'impianto accusatorio, anche se ci possiamo lamentare della quantificazione della pena e del riconoscimento delle attenuanti”.

Dopo questo mite verdetto, cosa rimane della tragedia di Marco Vannini?
Intanto, il suo ricordo, il suo sorriso, i suoi capelli biondi e quegli occhi buoni da bravissimo e semplice ragazzo.
Poi, quello dei tanti momenti d’infanzia, di crescita e di vita, condivisi con i suoi genitori, i cugini, i parenti e gli amici, nella sua breve esistenza.
Rimane, pure e soprattutto, quel crudele tarlo che corrode l’anima, che non dà pace e mai la darà, per la perdita immotivata, assurda e incredibile di un figlio di vent’anni, ucciso da un gioco mortale, macabro e insensato.
Rimane un dolore immenso e il pianto disperato di una mamma, l’amore di tutta la sua famiglia, il conforto di 36mila amici e sostenitori e di milioni di italiani, turbati e delusi da una sentenza che ha un sapore di ingiustizia e avvilisce la speranza nella legge.
Rimangono anche una bella targa di marmo, sotto un albero in un fiorito giardinetto a lui dedicato e le struggenti parole di papà Valerio, che trafiggono l’anima: “quando vado in moto - passione che con Marco condividevo - e, perciò lo faccio spesso, l’ho sento vicino, come fosse con me, nel mio casco, che ci isola dal mondo. Ci parlo, lo accarezzo, scambio con lui i pensieri e le emozioni, fino a quando mi fermo, mi tolgo il casco e tutto purtroppo svanisce”.
Come la speranza di una giustizia giusta.
 18 aprile 2018 (Alfredo Laurano)



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