sabato 7 aprile 2018

MORIRE A 15 ANNI


La società della comunicazione per immagini non lo permette. Ha delle regole sociali che si rifanno a un’aberrante etica, a un codice di comportamento e di conformità che tutti devono rispettare, se ne vogliono far parte, se non vogliono autoemarginarsi.
Tutto è in un click, in un look, in una foto. Tutto si filma (risse, incidenti, pestaggi, omicidi), tutto finisce in Rete e si propaga all’infinito.
E ciò vale sempre e dappertutto, nella vita di tutti i giorni, nei rapporti umani, nella scuola, nel lavoro, nel gioco e nel confronto. In ogni luogo, ad ogni età e, soprattutto, in quella giovanile.
Il privato si fa pubblico, nel senso più deleterio della transizione, e travolge ogni forma di intimità e riservatezza. Ma non come negli anni della contestazione studentesca, quando si auspicava la trasformazione politica e sociale dei propri bisogni in istanze collettive, alla luce di una nuova dimensione esistenziale, dove l’individualismo, dismessi i panni della singolarità egoista, vestisse quelli dell’uniformità e dell'uguaglianza proletaria.

Oggi, ben altri sono i modelli e i valori che dilagano nella ridicola comunità che si nutre di pane e botulino. Il mito rivoluzionario di un tempo ha lasciato il campo a un’altra serie di bisogni collettivi, estetici e formali: lifting, silicone, costose punturine, liposuzione, mastoplastica e tecniche varie. Gli apologeti della chirurgia plastica permettono di rimodellare il corpo a piacimento, come da disegno o su misura, secondo i propri desideri.
Non c’è spazio e nessun alibi per la diversità, per i difetti, per chi è piatto o in sovrappeso. 
E non certo per motivi di salute.
Basta un po’ di coraggio e un bel po’ di quattrini per ritrovare le linee dello standard, del come si dev’essere, dell’armonia fisica, prestabilita dalle mode e dai profitti.
Ma se non puoi risolvere, se non accedi alla miracolosa medicina, non hai speranze, devi soccombere e soffrire.
Sei grassa, ti senti grassa o sono gli altri che ti fanno sentire brutta e grassa e ti deridono?
Allora, a quindici anni ti butti sotto a un treno, nella stazione di Torino, davanti a compagni e professori.
Ti uccidi perché sei inadeguata, perché ti prendono in giro, ti bullizzano con malvagità.
Beatrice amava la musica e voleva diventare soprano, ma troppi le hanno fatto sentire il peso dei suoi chili, anziché farle capire che la bellezza non è solo quella fisica. Chissà se i genitori l’hanno compresa, aiutata e sostenuta o se lei si è chiusa nel dolore, fingendo sogni, sicurezza e apparente normalità.
Il suo non poter essere se stessa, la sua inaccettabile apparenza e la sua dimensione pubblica, insopportabile e crudele, le hanno restituito intimità e privato, solo in un gesto estremo e disperato. Una scelta definitiva per rinunciare a quella platea spietata, per uscire per sempre da quello schifosissimo teatrino del vuoto conformismo, niente affatto virtuale, come molti ancora pensano.

Indubbiamente, i cosiddetti social, che, sempre più diventano discariche di odio, di violenza e delle peggiori imbecillità umane, hanno giocato un preminente ruolo, come in altri precedenti casi.
Negli ultimi anni, quelle pagine del Web hanno partorito mostri che giocano, insultano e perseguitano i più deboli, i più fragili e indifesi, i più, culturalmente, impreparati.
Sono il prodotto breve e l’espressione concreta di una società degradata, dove lo strapotere della tecnologia ha soppiantato l’umanità e la pietà.
Sono costoro i veri mandanti morali, responsabili di questa morte e di troppi altri reati.
Niente, infatti, anche in questo caso, ha fermato la cattiveria di queste belve utenti: "Non sapevo che farsi mettere sotto da un treno fosse un metodo rapido di dimagrimento", ha scritto qualcuno, mentre un altro replicava: "Lei voleva solo farsi assottigliare dall’impatto". O, “i ciccioni preferiscono morire piuttosto che dimagrire".
I commenti macabramente ironici si sprecano e le risate piovono: anche la morte non merita rispetto e fa parte del gioco e dello scherzo.

Ma quanto schifo fanno quelle bestie, visto che ormai non fanno più solo meraviglia?
Come dice lo psichiatra Andreoli, nei social abbiamo perso l'individualità, crediamo di avere un potere che è inesistente. Ci spingono a dire tutto, ci banalizzano. Creano una condizione di compenso per le persone frustrate, ma vivere nella frustrazione genera rabbia che, a sua volta, genera violenza.

Da sempre, i giovani si scontrano, litigano e si beccano, ma, una volta, tutto finiva lì, nella strada o nel cortile. Oggi le dispute continuano ad oltranza e si riverberano sul Web, assumendo ben altri significati e dimensioni, fino, a volte, alle estreme conseguenze.
Chi ha spinto Beatrice ad arrendersi al disagio non sa più distinguere tra bene e male, tra virtuale e reale. Si illude di esistere e di essere persona, ma è soltanto uno scarto umano, inconsapevole della propria mostruosità.
7 aprile 2018 (Alfredo Laurano)

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