lunedì 16 aprile 2018

ERA LA NOTTE DI SAN LORENZO


I fratelli Taviani hanno scritto, in carriera, meravigliose pagine di cinema, da Padre Padrone a Kaos, da Cesare deve morire a Boccaccio, passando per La notte di San Lorenzo e tanti altri.
Un grande cinema che coglie la gente nella sua normalità, con i suoi limiti ed i suoi eccessi, con i suoi buoni sentimenti e con la sua malvagità, con il suo egoismo e le sue contraddizioni. Un’umanità genuina e vera, espressione di una cultura popolare radicata nella tradizione, ma sempre immersa in atmosfere poetiche e struggenti.

Ieri, a 88 anni, se n’è andato Vittorio, il fratello più grande di due anni di Paolo e, in suo onore, ho voluto rivedere La notte di S. Lorenzo (1982), un film epico e fiabesco nello stesso tempo, che ricorda, con stile definito di “realismo magico”, la fuga nelle campagne degli abitanti di San Miniato, in Toscana, per sottrarsi alla ferocia dei fascisti. 
E lo fa attraverso l'ottica drammatica e sognante di una bambina che partecipa agli eventi e li rievoca, molti anni dopo, davanti al figlioletto in fasce.
Nei suoi occhi - che poi son quelli dei due registi - emergono i ricordi personali.
Sono occhi, carichi di ingenuità, che raccontano uno dei tanti drammi della seconda guerra mondiale e l’atrocità di uno scontro fratricida, ma che guardano, però, anche alle tenerezze, alla buona volontà, alla solidarietà, agli eroismi e alla paura della gente comune: poveri contadini, che, tra pianti, lamenti e dolore, cercano di salvare la propria vita e quella dei loro cari, senza mai diventare eroi della Resistenza, né assurgere a martiri della ferocia nazifascista.
I suggestivi paesaggi della campagna toscana fanno da sfondo a questo conflitto di sentimenti e rivestono un'importanza fondamentale nell'articolarsi della vicenda.
Fra le varie sequenze, restano memorabili la selvaggia battaglia nei campi di grano fra contadini e fascisti, dove si ammazzano a bruciapelo, come se fosse normale, ex amici, parenti e odiosi ragazzini in camicia nera, di contrapposta fede, e l'immagine onirica e omerica del corpo del giovane fascista trafitto da tante lance, che la bambina immagina come quelle dei soldati romani.
La morte che si dà e si riceve con leggerezza e ineluttabilità, come fosse un gioco, uno scherzo, una finzione e non un tragico massacro.


Film capolavoro e di autentica poesia, raccolto in uno spicchio di tragedia di un intero popolo.
Corale, essenziale, asciutto, di grande forza narrativa e indubbia capacità evocativa, senza mai cedere all’enfasi e alla facile retorica o al compiacimento di descrivere la violenza.
Tra le diverse allegorie, le sfumate note di Bandiera rossa, l’inno antischiavista americano e le musiche di Piovani, l’opera dei fratelli Taviani immagina un mondo libero e giusto e lo traduce in favola, triste, cruda e seducente, ornata da un disperato richiamo alla giovinezza, alla nostalgia e alle stelle cadenti, dove la fitta pioggia finale, purificatrice e catartica, annuncia la speranza.
 (Alfredo Laurano)

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