giovedì 5 aprile 2018

UNA DIFESA INDIFENDIBILE


Dopo le richieste di condanna degli imputati da parte del PM, nella precedente udienza del processo Vannini, la difesa dei Ciontoli ha oggi cercato di limitare i danni.
La strategia messa in campo, forse l’unica possibile allo stato delle cose e delle verità processuali scaturite e ormai conclamate, non poteva che essere la derubricazione del capo di imputazione, per far scendere il massimale della pena che la Corte può applicare rispetto agli anni chiesti dal Pubblico Ministero (21 anni per Antonio Ciontoli, 14 anni per la moglie e i due figli e due anni per Viola Giorgini).
Gli avvocati difensori, come previsto, hanno cercato di scardinare le accuse mosse nei confronti degli imputati, evidenziando come, a loro avviso, la morte di Marco Vannini non sia da ricondurre ad un’azione volontaria, ma a un incidente di cui nessuno ha nascosto o sminuito la realtà.
L’omicidio è quindi da ritenersi puramente colposo.
La moglie del capofamiglia, Maria Pezzillo, donna meridionale molto semplice, totalmente dipendente dal marito, i due figli, Martina e Federico e la fidanzata Viola non mentono e sono innocenti, in quanto all’oscuro della dinamica dei fatti. Tutti e tre, secondo la difesa, sono caduti in errore proprio perché credevano in Antonio Ciontoli: “sono stati indotti a sbagliare, perché si sono fidati del capofamiglia”.
Al contrario, sempre secondo il collegio difensivo, hanno mentito tutti gli altri: gli infermieri, i carabinieri, i vicini di casa, i genitori di Marco e tutti i vari testimoni. Solo gli imputati hanno detto la verità.

Probabilmente, visto l’ormai prossimo epilogo del processo e l’inevitabile sentenza di condanna, i difensori puntano sulle sole responsabilità colpose e casuali del Ciontoli, per provare a escludere e salvare gli altri coimputati, che non sapevano, non capivano, non vedevano, non c’erano e, se c’erano, non hanno visto, sentito, partecipato. Solo obbedito.
“Il vostro deve essere un giudizio sereno e disinteressato, giustizia è dare seguito al di là del ragionevole dubbio. Non c’è certezza e non c’è dubbio, pertanto chiedo l’assoluzione”. Questa la conclusione dell’arringa difensiva, in attesa della sentenza del prossimo 18 aprile.

Oltre alle testimonianze confuse, contraddittorie e discordanti degli stessi imputati, non sapremo mai perché è successo tutto questo, perché quella notte Marco facesse il bagno, in presenza del futuro suocero, che giocava con le pistole, come si fa, di solito, in tutte le famiglie.
Non sapremo mai quel che è successo davvero, né perché non lo hanno soccorso tempestivamente, perché lo hanno lasciato agonizzare, perché hanno minimizzato i fatti e finto di non comprendere la gravità della situazione.
Dovremo accontentarci di una mezza verità processuale, senza conoscere quella storica, sostanziale, assoluta e, praticamente, irraggiungibile.
Comunque vada, resta il fatto che, insieme a Marco, costoro hanno ucciso anche il sentimento di pietà.
 4 aprile 2018 (Alfredo Laurano)


Nessun commento:

Posta un commento