martedì 9 maggio 2017

TOTTITE CRONICA

Allenatore sufficiente, volendo, anche bravo e preparato, ma piccolo uomo, accanto a un grande capitano, un campione del pallone.
L'addio di Totti lo ha annunciato Monchi al mondo. Quello di Spalletti pare averlo decretato lui medesimo, fra i suoi errori e i suoi successi, fra le sue colpe e le sue presunte qualità. 
I 4 gol al Milan (potevano esser il doppio senza quel fenomeno gattesco del giovanissimo Donnarumma), dopo la batosta nel derby, oggi contano poco, quasi nulla e non salvano la faccia. Né la sua, né della squadra.

Quello che invece oggi conta, agli occhi dei tifosi e degli sportivi, è la malattia di cui soffre, da tempo, il toscano pelatino: la tottite acuta recidivante. E ieri, ne ha mostrato un chiaro sintomo.
"Si parla sempre di questa cosa qui e ce l'ho addosso". 
Tutto iniziò con lo sfogo di Totti alla Rai: "Chiedo rispetto". 
Poi il suo allontanamento dal ritiro, gli applausi dell'Olimpico che erano schiaffi al tecnico. Le minacce e gli striscioni sotto casa all'allenatore, "colpevole" di lesa maestà ("È un continuo, t'aspettano a casa…)
E poi i gol decisivi di Francesco, le sue rare, ma pregevoli prestazioni a tempo misurato, la tregua, ma non la pace. La definizione di "piccolo uomo" di Ilary a Spalletti, la sua replica con i regali ironici, i tanti silenzi, fino alla guerra fredda degli ultimi due mesi.

Fino a ieri, fino a San Siro, dove il vendicativo allenatore, con le valigie in mano, ha voluto negare una standing ovation al Capitano che, con non poca tristezza, sta per lasciare il calcio giocato e la sua Roma. 
Lo stadio di Milano, la Scala del calcio italiano, aveva steso uno striscione assai eloquente: “la sud rende omaggio al rivale Francesco Totti”. Si, gli avversari volevano omaggiarlo, applaudirlo sportivamente, riconoscendone la grandezza, la qualità e il valore, anche per pochi minuti in quello stadio. Un momento emozionante di romanticismo sportivo dedicato a un simbolo di genialità pedatoria, a un calciatore immenso, a un ragazzo semplice e generoso, a una rara o ultima bandiera di coerenza, che con quella stessa maglia ha segnato oltre 300 goal, in 763 partite, disputate in 25 anni di storia e di carriera.

Ma il cattivo pelatino, forse per invidia e gelosia, si è voluto vendicare, gli ha fatto l’ennesimo sgarbo e non l’ha mandato in campo, nemmeno per i “soliti” tre minuti, stavolta più che sufficienti per ricevere solo un tributo di stima e ammirazione, anche da un popolo “nemico”.
Non gli ha permesso di essere gratificato, gli ha negato una passerella che certo meritava, come si fa, a fine carriera, con gli artisti del pallone. 
Un dispetto bello e buono che non ha giustificazioni.
Ed è banale dichiarare al mondo: "Sono stato offeso prima e dopo, tutte le volte che l'ho messo negli ultimi 5 minuti. Dicevano che lo prendevo per il culo, mettiamoci d'accordo.”

Stavolta, caro Spalletti, era diverso, aveva tutto un altro senso, e lo sai bene: 
non doveva nemmeno giocare, ma solo ringraziare in quella festa e, magari, provare e condividere una giusta, inevitabile commozione. 
Ma tu, piccolo uomo hai fatto finta di non capire e, ancora una volta l’hai preso per il culo, insieme a tutti gli sportivi d’ogni fede, d’ogni bandiera.

Perché lo sport è fuoco e passione, fatica e tormento, ma anche pathos, confronto e rispetto.
Ma Francesco Totti, anche lontano dai campi erbosi, resterà nella storia del pallone e nel cuore dei tifosi, mentre tu, piccolo uomo dispettoso, non sarai rimpianto da nessuno.
(Alfredo Laurano)

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