martedì 23 maggio 2017

QUASI QUASI M’AMMAZZO

È come se esistesse una nuova crociata, molto più che virtuale, contro l’abbaglio della coscienza e della ragione, al grido di “il web lo vuole”.
Se “tutto il mondo è social”, che risponde a un insopprimibile comandamento imperativo, deve esserlo anche la vita di ciascuno.
La Rete siamo noi: è il nostro pane quotidiano, il vino che ci inebria e ci fa volare, la droga eterea che assumiamo in varie e massicce dosi, il nostro comune dio fittizio o il grande fratello della dipendenza. Conformismo, fedeltà, appiattimento, condivisione (che diventa spesso sottomissione), le regole che ci impone. Soprattutto ai giovani, ai ragazzi che vivono di sfide, di emulazioni, di confronti, di contraddizioni e che si nutrono di tale catechismo.
È lecita questa riflessione? È logica e coerente? Non lo so, ma potrebbe esserlo.

I social hanno oggettivamente assunto uno strapotere reale, economico, e culturale. Hanno modificato le nostre abitudini personali, intime, relazionali e commerciali, hanno condizionato le nostre scelte.
La Rete consente anche che pensieri comuni, falsità e opinioni volgari e impopolari possano viaggiare, senza biglietto e senza pagare pegno, fino alla stazione del dialogo e della ragione, fino al delta della popolarità. Consente a chiunque di mettersi alla guida di una missione d’odio e integralista o di paura e sudditanza. Consente l’orientamento, la diffusione e la propaganda, fino a convincere molte fette di variegata umanità che quel che di virtuale si costruisce e si elabora su Internet sia altrettanto vero e valga per la l’intera popolazione reale della terra. Una doppia dimensione che poi si sovrappone.

Vedere quelle immagini di ragazzine che si lanciano nel vuoto da edifici altissimi, per ammazzarsi in virtù di un gioco tragico, allucinante, incredibile e molto più che assurdo - un tributo all’orrore sociale, una concreta prova di obbedienza a un persuasore occulto - lascia senza fiato. Increduli, attoniti, confusi.
Induce a considerare il fallimento della società tecnologica, a danno di residui spiragli di umanità ormai deviata, annichilita, compressa, condizionata. Per non dire cancellata.
Una storia del terrore, che è riuscita a rimbalzare da un capo all’altro del mondo.

Il Blue Whale è un "gioco" macabro, nato in Russia, diffuso in Brasile, Canada, Francia e poi arrivato anche da noi.
Regole folli per partecipare a una roulette che non sorteggia un vincitore, ma solo vinti: adolescenti prostrati spinti al suicidio, come purificazione da ogni male, fra mistero, paura, plagio, leggende metropolitane, bufale, fake, trovate commerciali per vendere notizie sconvolgenti.
Una fantasia social? Un’invenzione di qualche mente malata?

Dietro questa catena dell’orrore, esisterebbe una rete di ideatori, organizzatori o tutor psicopatici (detti Curatori) in grado di influenzare e plagiare i giovani più disagiati ed emotivamente instabili, attraverso sfide e ordini che li privano di ogni capacità cognitiva.
Le vittime prescelte sono ragazzini dai 9 ai 17 anni. Il fine, quello di farli suicidare, manipolandoli psicologicamente.
Questi mostri, fanno loro credere, che la vita è inutile.
Li contattano attraverso i Social e gli danno una serie di regole assurde da seguire.
Ad esempio, guardare film dell’orrore per un giorno intero, incidersi sul corpo con un rasoio una balena azzurra, svegliarsi alle 4.20 del mattino, tagliarsi un labbro, passare un ago sulla mano più volte, procurarsi dolore: il tutto per 50 giorni.
L’ultimo giorno, il gioco prevede che si devono ammazzare, buttandosi da un palazzo, il più alto della città.
Il volo viene ripreso da altri partecipanti e conoscenti del gioco, perché poi i video vengono inviati. Durante il suicidio, il profilo della vittima, viene gestito da queste stesse persone.
La regola base, è di non parlarne con i famigliari e di non farsi scoprire.
Il simbolo del gioco è una balena, perché la balena, a volte, si suicida spiaggiandosi.
Le vittime ad oggi, solo in Russia, sarebbero 157, contro i 1700 di “normali” suicidi annuali di adolescenti. Quelli che si sono lasciati trasportare in questo vortice di orrore, prima di farla finita, lo dichiarano sui social con frasi piuttosto enigmatiche: “Questo mondo non è per noi” oppure “Siamo figli di una generazione morta”.

Il servizio delle “Iene” di pochi giorni fa documenta tutto questo, come hanno già fatto numerosi quotidiani, e sembra confermare il tragico gioco. Anche se ricerche su vari siti, dimostrano che i suicidi di teenagers filmati, come quelli di cui si parla nel servizio, sono una tragica realtà in Russia non da ieri, ma da anni, ben prima che il Blue Whale apparisse sul web.
I primi a parlarne a maggio 2016 sono stati i redattori della Novaya Gazeta russa.
Tutto partirebbe da un social network russo VKontakte che, come il nostro Facebook, ha gruppi chiusi di svariato genere, tra cui alcuni dedicati ai depressi o agli aspiranti suicidi, all’interno dei quali sarebbe stato fatto circolare questo “gioco” e che il tutto avrebbe portato a suicidi improvvisi. 
Sull’onda dell’articolo della Gazeta, le segnalazioni e i gruppi si sono moltiplicati, ma sempre senza nessuna prova vera che colleghi i suicidi a quel gioco.
Che sia emulazione, effetto troll, ricerca di visibilità malata?
Non si sa. Quello che è certo è che, da quel primo articolo, la vicenda pian piano ha fatto il giro prima della Russia e ora se ne parla anche in USA e Europa.  
A Livorno, a febbraio, un ragazzino si è buttato dal 12º piano. Un’altra vittima del Blue Whale?
In Costa Rica il fenomeno della balena blu pare sia molto noto. Si vedono moltissimi giovani con il "branding" della balena nel braccio e diversi sono arrivati all'ultima "prova" del suicidio. La polizia nazionale l’ha catalogato allarme nazionale.

Al momento, sembra che le tante notizie in merito non abbiano alcuna verifica, come anche, però, nessuna smentita. Sono di quelle non provate, su cui mancano elementi sufficienti per poterle inquadrare con certezza. Le fonti continuano ad essere troppo fumose e resta difficile capire la verità, distinguere tra vero e verosimile, tra certezza e dubbio e falsità.
Intanto, andrebbe maggiormente indagato il perché nella fase adolescenziale - tra solitudine e bullismo, tra partecipazione e dipendenza, c'è spesso un problema serio di depressione che può portare anche a gesti estremi.
Ma anche cosa potrebbe esserci dietro il terribile Blue Whale: dalle teorie complottiste al guadagno per traffico visualizzazioni: più è virale e tenuta in vita la possibile fake news sul gioco-suicidio, più si alimenta la curiosità, la ricerca e il traffico on line che genera molti click. E si sa, traffico e visualizzazioni vogliono dire soldi.

Al di là della retorica e delle supposizioni, o di servizi shoccanti a tutti i costi, è importante e prioritario ricordare che spacciare notizie non verificate come buone e riportarle sui giornali rischia di fare danni ulteriori, perché lo spirito d’emulazione dei ragazzi è forte e i casi potrebbero aumentare: se questo gioco macabro non esistesse, inizierebbe ad esistere realmente e molti giovani fragili e disagiati si sentirebbero "liberi" di togliersi la vita.

Come avrebbe candidamente ammesso ai professori, ai compagni di classe e alla polizia, quando si è accasciata davanti a tutti, priva di forze, la ragazzina di 13 anni di Pescara, arrivata a un soffio dalla sua purificazione finale, dopo aver compiuto l’intero percorso delle cinquanta prove. L’hanno salvata le amiche che sapevano del suo stato di depressione profonda
Sul suo profilo, si è scoperto poi, aveva postato foto eloquenti, tra cui un volto triste, affacciato sul vuoto e aveva anche programmato il suicidio finale. “Si, è vero, ho partecipato al Blue Whale”.
Complimenti anche alla famiglia.
(Alfredo Laurano)




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