giovedì 9 marzo 2017

DAREDEVIL SELFIE, L’ULTIMA FOLLIA (per ora)

Morire a tredici anni per un selfie è qualcosa di indefinibile.
Di assurdo, di incredibile, inconcepibile, irrazionale: trovate voi l’aggettivo giusto, anche se uno solo non basta, non descrive.
Ma è anche e soprattutto una bestemmia contro la vita, un insulto all’evoluzione, una contraddizione della logica, un paradosso del nonsenso, inaccettabile e inammissibile e, per certi aspetti, anche ridicolo.

Fino a qualche anno fa, diciamo una ventina, fotografie e film in superotto si stampavano e costavano parecchio. Si scattavano, con parsimonia, in occasione di gite, vacanze, cerimonie, nascite, feste e compleanni.
Ora, grazie alla tecnologia digitale, se ne fanno a camionate in ogni possibile occasione, dagli animali, alle strade di quartiere, ai piatti di cucina.                                               
Ma anche per documentare qualsiasi momento quotidiano: personale, familiare, di cronaca, di incontri, di visite e ricordi o per catturare situazioni imbarazzanti, per deridere qualcuno, per bullismo, per vendette sentimentali, sputtanamenti, stalking e persecuzioni varie.                   
Il tutto da far finire poi, orgogliosamente, sulle straripanti pagine dei social network, con conseguenze che ormai ben conosciamo: isolamento, fughe, depressioni, disagio sociale, possibili istigazioni al suicidio.
Siamo all'uso folle, massivo, improprio, insensato e pericoloso della nobile arte della antica dagherrotipia.

Fino ad arrivare al tragico passatempo di tre ragazzi, forse una gara di temerarietà e resistenza: scattare un selfie con alle spalle un treno in corsa, da condividere poi ad oltranza, una terribile, nuova moda choc piuttosto diffusa, pare, tra i ragazzini, anche in Italia. 
E’ questo il gioco perverso che ha ucciso un tredicenne di un paesino del Catanzarese, travolto nei pressi della stazione di Soverato.
Si stava sfidando a colpi di selfie con due amici, nati come lui nel 2003, su un noto ponte di ferro, in un tratto della ferrovia che corre in aperta campagna, priva di illuminazione, ma ottima come sfondo. Troppo concentrati sugli schermi dei loro cellulari per rendersi conto della velocità con cui stava arrivando il treno.
Quando è giunto l’intercity Taranto–Reggio Calabria, in due sono riusciti a scansarsi, il terzo no. Attardatosi sui binari, il suo corpo è stato colpito e sbalzato a decine di metri dal punto di impatto. Gli amici che erano con lui non hanno potuto far altro che restare a guardare, inorriditi, e poi fuggire.

I giochi estremi, volutamente mirati alla originalità, all’esibizionismo e alla trasgressione - soprattutto erotica e sportiva - non sono mai mancati, e forse mai cesseranno, nel comportamento umano d’ogni tempo.
Sono forse connaturati, a livelli vari, alla psicologia dell’animale uomo, ai suoi istinti di libido e volontà, determinati dal conflittuale dualismo fra eros e thanatos, e praticati da giovani e adulti, in cerca di emozioni forti e farneticanti prove di coraggio, audacia e spavalderia.
Sono comunque determinati da scelte e abitudini sociali, espressione di una società che cambia e impone sempre nuovi modelli di riferimento e di tendenza.

In particolare agli adolescenti che, per non essere aut, ma adeguati al trend, in assenza di un’educazione familiare spesso rimasta al palo, hanno continuo bisogno di visibilità e di conferme. Li adottano a piene mani, ritenendoli validi e normali, in quanto creati dagli adulti.
Ma, alla fine, si rivelano solo scommesse di stupidità, senza limiti ed età.

Quando accadono tragedie come questa, grande tristezza e senso di vuoto colpiscono duramente la sensibilità di tutta una comunità, che si sente coinvolta e vicina ai diretti famigliari. Ma poi, subito dopo, si dimentica e si va oltre. E tutto ricomincia, tutto accadrà di nuovo, si ripeterà identico o in altro modo, o sotto altre forme o situazioni.
Se un ragazzino di 13 anni muore in questa folle circostanza, le colpe vanno ricercate altrove, non nella vittima, ma nel mondo che gli abbiamo confezionato, che stiamo costruendo per i nostri figli e per le future generazioni.
Occorre interrogarsi sulle nostre responsabilità, a livello di scelte sociali, politiche, industriali ed economiche, su scala internazionale. Su quanto ci adoperiamo per cercare di migliorare questa società malata e su quanto abbiamo contribuito a renderla così stupida e inumana.
(Alfredo Laurano)


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