lunedì 27 marzo 2017

DA VENTOTENE AL CAMPIDOGLIO

Non molti anni dopo la lunga seconda guerra mondiale, le città devastate, i cumuli di macerie, i milioni di morti, di rifugiati, senza casa e senza niente, le intenzioni dei padri fondatori dell’Europa, che nel 1957 firmarono i trattati di Roma, erano certamente nobili e assai diverse da quelle che, fino ad oggi, si sono realizzate nel progetto di costruzione di un’Unione, alimentata da venti di discordia e scelte discutibili e sempre più minata da dubbi, prepotenze e sfiducia popolare.
Ben lontane anche dai propositi di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, reclusi negli anni del fascismo in una piccola isola del Mediterraneo, dove, idealmente, l’Europa nasceva e già si respirava. Insieme a tanti altri confinati, a Ventotene, sognavano un futuro diverso, senza guerre, prospero e di pace.

Sessant’anni dopo, quei trattati hanno rinnovato l’impegno sulla carta, ma si sono celebrati con non poca ipocrisia. I leader europei nella sala degli Orazi e Curiazi del Campidoglio, davanti al documento del '57, hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta per rilanciare nei prossimi 10 anni l'integrazione comunitaria.
Ma in quest’Europa dominata dalle banche, dalla finanza e dai mercati e regolata da trattati ingiusti - da Maastricht, al Fiscal Compact, a Dublino - dall'austerità, dai riemergenti nazionalismi, non c’è al momento spazio per valori autentici, come apertura, solidarietà, tolleranza, libertà e democrazia, che le consentirebbero di fare un vero salto di qualità. Diseguaglianza, paura e insicurezza sociale, diffuse a piene mani da politiche repressive e atti inadeguati, producono culture di respingimenti e movimenti reazionari. Ma anche tanta precarizzazione del lavoro, ricatti e discriminazione di donne e di giovani, che crescono invece a dismisura, come la povertà e l’emarginazione. Si moltiplicano razzismi, muri, frontiere e fili spinati: i migranti sono le prime vittime, insieme alla democrazia e ai diritti.

Non c’è più tempo per le chiacchiere e le dichiarazioni di facciata e convenienza: chi ha responsabilità ed è cosciente del pericolo deve ripensare i principi base dell'Unione, deve scegliere, deve mettersi in gioco, deve rilanciare in una nuova dimensione. Le troppe crisi ai confini, il terrorismo, la globalizzazione, impongono scelte cruciali e indifferibili.
Bisogna abbattere i muri. Quelli fisici e quelli dell'odio e della paura.
Così come bisogna abbattere i muri della austerità, del debito, della finanza, del pensiero unico. E quelli che impediscono ad una intera generazione di giovani di affacciarsi con pienezza alla vita. Altro che generazione Erasmus: questa è la generazione dei precari.

In una bella giornata “storica”, di primavera, la festa c’è comunque stata: sorrisi, bandiere, foto, abbracci e strette di mano nel piazzale michelangiolesco.
In una Roma assolata e blindatissima, tra scorte e rigidi controlli delle forze dell'ordine che hanno presidiato tutta la città, i 27 leader europei hanno firmato il nuovo accordo per l’Europa futura, che ha visto la Polonia e la Grecia di Tsipras, già provata da tanta austerità, chiedere qualche modifica al testo prima di sottoscriverlo.
Anche i vari cortei di contestazione e in dissenso si sono svolti e, nonostante i timori della vigilia, il clima di tensione e gli annunciati, possibili disordini, hanno sfilato senza incidenti, per le vie della capitale, controllate da cinquemila agenti: quasi più degli stessi manifestanti.
Tuttavia, il sentimento critico verso questa attuale Ue, a doppia velocità, non si esprime solo attraverso le mobilitazioni nelle strade. La fiducia appare in declino quasi ovunque e un'insofferenza diffusa attraversa tutti i Paesi che ne fanno parte, vecchi e nuovi, alcuni dei quali rischiano di diventare colonie o protettorati dell'arroganza di quelli più economicamente forti.
Non a caso, i partiti euroscettici o apertamente anti-europei hanno assunto proporzioni sempre più ampie. Per otto cittadini su dieci, l'Unione Europea è un obiettivo giusto, ma realizzato in modo sbagliato.
"E' una commedia degli errori, una tragedia greca. Noi siamo semplici spettatori delusi”, afferma con amarezza Yanis Varoufakis, ex ministro greco delle finanze.

Se davvero questo progetto - ancora sulla carta e più sognato che reale - vuole perseguire l’integrazione degli uomini e diventare l’Europa dei popoli, deve decidere da che parte stare e come agire al bivio: fra la salvezza delle vite umane o quella delle banche, fra la piena garanzia o la progressiva riduzione dei diritti universali, fra la pacifica convivenza o le guerre, fra la democrazia o le dittature.
I cittadini devono poter decidere e le politiche non devono essere imposte dall’alto, ma rappresentare la volontà popolare, nel rispetto delle identità nazionali.
Come ha ricordato il sindaco di Roma nel suo discorso: “L’Europa o è dei cittadini o non è Europa”.
26 marzo 2017 (Alfredo Laurano)

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