giovedì 7 febbraio 2019

“PERCHÈ SANREMO È SANREMO”


…E non “solo canzonette” e non solo un tormentone, anche se, come stacco musicale, racchiude felicemente l’essenza del Festival e del variegato folklore che, da sessantanove anni, gli gira intorno.
Si sono accese di nuovo le luci sulla più famosa manifestazione canora italiana, annunciata da trailers, slogan, spot infiniti e anche stucchevoli, da tweet maliziosi, post iconoclastici e pareri non richiesti.
Canzoni, colori, musica, arte, moda, spettacolo e (necessarie) polemiche di rito.
Niente più fiori, come un tempo, ma inquietanti paratie e fasci luminosi, scale immancabili, geometrie, spazi aperti e avveniristici, profondità fittizie, trampolini e passerelle.  Un palco comunque ambito ed importante per chi mangia pane e musica, con contorno di parole e di canzoni e, a volte, di denunce e riflessioni su politica e società.

Dal 1950, per cinque giorni, il grande carrozzone mediatico-musicale sospende gli eventi di mezza Italia. Volenti o no, appassionati o recalcitranti, è quasi impossibile non farsi travolgere: la manifestazione diventa un evento nazionale per il collegamento costante con la realtà del nostro Paese e non solo.
Sulla ribalta dell’Ariston, oltre alla farfallina inguinale di Belen, sono approdati, ad esempio, i temi della ricerca scientifica con il premio Nobel Renato Dulbecco e quelli della storia contemporanea con Raissa e Mikhail Gorbaciov.
Amato o criticato, il Festival della canzone italiana resta da sempre un po’ lo specchio del Paese, attira immancabilmente l’attenzione dei giornali, dei social, delle TV e dei media in generale, dei telespettatori e degli opinionisti, veri o fittizi che siano: riesce, a differenza di altre analoghe manifestazioni di costume, a sopravvivere alle mode e alle rivoluzioni sociali che hanno attraversato e attraversano la società italiana.


Da Nilla Pizzi al Duo Fasano, da Modugno a Luigi Tenco, da Gigliola Cinquetti a Bobby Solo, da Mina a Lucio Dalla, da Patty Pravo a Celentano, da Renato Zero a Nada, da Nicola Di Bari a Ranieri e Ramazzotti, da Giorgia ad Arisa, da Povia a Cristicchi e alla scimmia di Gabbani.
Dalle dolci melodie all’armonia, dalla commozione alla speranza, dai sentimenti antichi ai ritornelli, dal swing al rock, dal beat al pop, dal rap all'hip-hop. Dall’Italia del dopo guerra e della ricostruzione a quella iper-tecnologica e digitale.
Generalizzando, con bonomia e benevolenza, tutta musica tra le note, come diceva Mozart.

Comunque, San Remo non esiste. O meglio, si sa che nessun Remo santo è mai esistito, tant’è che il suo nome non compare tra quelli del calendario.
Sarebbe infatti la contrazione dialettale del nome Romolo, vescovo vissuto tra il IV e V secolo, nativo di Villa Matutiae (l’odierna Sanremo), uomo saggio e buono, oggi patrono della città. Il povero Remo è quindi un nome adespota, come il suo celebre parente Remolo, scoperto da Berlusconi.
6 febbraio 2019 (Alfredo Laurano)



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