sabato 9 febbraio 2019

CONFRONTI E PREGIUDIZI


Ma cosa c'entrano le sentenze di primo e secondo grado del processo ai Ciontoli con la condanna di Corona che “non ha ammazzato nessuno e si è beccato quattordici anni”, o con il caso Scazzi, o quello di Melania e Parolisi, di Yara, di Meredith, della Ragusa, della Ceste e dello stupido pompiere?
Confronti e considerazioni poco sensate, o fuori luogo e fuori tema, continuano a imperversare su Internet, dove ognuno, anche se digiuno di diritto e scienze giuridiche, giudica, pontifica, condanna e pretende l’ergastolo, perché sa tutto e anche di più.
Sa come si sono svolti i fatti, chi, come, dove e perché ha sparato.
Come se ogni reato fosse ciclostilato, uguale agli altri, al di là delle accuse, delle prove, della gravità, dei processi alle intenzioni, delle sensazioni personali e collettive. 

Come se rispondesse ai paragrafi di un libretto di istruzioni per l’uso. Oggi, molti contestano che la Franzoni sia tornata in libertà, dopo aver scontato la sua pena (sedici anni, oltre ai benefici), giusta o ingiusta che fosse.

L’ho già detto, scritto e invano ripetuto: è legittimo e sacrosanto criticare una sentenza scandalosa, ma che senso ha fare certi sterili raffronti?
Ognuna è un caso a parte, ognuna racconta una storia e una tragedia familiare, come quella di Marco, in cerca di giustizia, non di inopportuni paragoni e improponibili analogie.
E' come confrontare i pregi, i danni e le proprietà delle mele, delle patate e delle cipolle.
E’ un mantra quotidiano, un effluvio di singolari commenti, che si possono cogliere sui social, dove il coinvolgimento popolare si esprime miscelando, in parti diseguali, tifo da stadio, frasi ingiuriose, condanne perentorie, voglia di vendetta, immagini sacre un po’ pacchiane e appariscenti, fotomontaggi e animazioni intermittenti di fiori, angeli e stelline luminose - al limite del kitsch - e suggestioni mistiche e simil-religiose, per fortuna, statisticamente in diminuzione.

C’è chi invoca l’intervento del ministro di giustizia, del capo della polizia, del capo dello stato e perfino del pontefice. Che dovrebbero fare: intervenire sulla Magistratura, sul processo in corso o addirittura far emettere le sentenza che tutti aspettano? Pretendere una giustizia immediata e sommaria? Fare arrestare o impiccare il clan dei Ciontoli?
Non funziona così, cari saputelli social dipendenti, neanche per i mafiosi che compiono stragi, sparano nei bar, fanno sparire persone nel cemento, sciolgono bambini nell'acido.
In una società democratica e civile, la giustizia, sia pure lenta e farraginosa, non pratica le vie del qualunquismo, della vendetta o la legge del taglione.
Non agisce per compiacere l'opinione pubblica infuriata, per cavalcare l'emotività della piazza, per soddisfare la rabbia o le forme di isteria collettiva.
L'atroce vicenda di Marco Vannini non è e non può essere la pietra di paragone, il metro di giudizio, di tutti i misfatti dell'umanità
.


Ferma l'inaccettabile sentenza d'appello, forse, è il caso di sfogliare il codice penale.

L’omicidio volontario (o doloso) è il reato commesso da chiunque provochi la morte di un terzo, con coscienza e volontà. Può essere commesso sia con una condotta attiva che omissiva e si caratterizza rispetto ad altri per l'elemento soggettivo, che è rappresentato proprio dal dolo, inteso quale consapevolezza e volontà di uccidere. Si ha quando il si provoca la morte di una persona in modo premeditato o non premeditato. 

Questa tipologia di delitto è più grave rispetto all’omicidio preterintenzionale e colposo, in quanto l’evento morte è voluto.

L'omicidio preterintenzionale si verifica quando si cagiona la morte di qualcuno, senza averne l’intenzione, cioè quando le conseguenze della propria azione sono più gravi di quanto previsto (ad esempio, si vuole colpire con un pugno e invece si determina la morte della persona colpita). L'evento morte non è dunque voluto dal reo, che intendeva solo percuotere, colpire o ledere la vittima.

L'omicidio colposo è il reato consistente nella soppressione di una vita umana imputabile a una persona, ma compiuto senza intenzionalità: non cagionato volontariamente, ma per colpa, per negligenza, imprudenza, imperizia o stupidità.

Le norme sono chiare, tutto dipende dalle prove, dalle indagini e da come sono valutati e interpretati i fatti. 

Nel triste caso di Marco, nonostante appaia palese che la sua morte fu determinata dalla mancata tempestività dei soccorsi e da un consapevole comportamento dilatorio e menzognero, il "dolo eventuale" non è stato riconosciuto e il reato è stato derubricato a semplice omicidio colposo.
Aspettiamo, fiduciosi, la Cassazione. (Alfredo Laurano)



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