martedì 5 febbraio 2019

OLTRE LA COLPA


Continua, ininterrottamente, da giorni - esattamente dalla lettura della sentenza d’appello del 29 gennaio scorso - la sollevazione popolare contro la decisione della Corte, maturata in soli tre quarti d’ora, in merito al caso Vannini.
I social e i giornali sono intasati di feroci critiche, di insulti, di dissociazioni personali, di proclami, di voglie inconfessate di vendetta per la giustizia mancata, offesa e mutilata.
Ferme le condanne degli altri imputati, il Ciontoli padre - ritenuto (e creduto) esecutore materiale dello sparo - è stato condannato a solo cinque anni, avendo quella giuria (due giudici togati e sei popolari, che, in verità, non so quanto abbiano pesato) derubricato il suo reato da volontario con dolo eventuale (come in primo grado), a colposo.

Per fare chiarezza, si tratta di omicidio colposo quando si è ucciso, senza aver voluto determinare in alcun modo l'evento, se non come causa occasionale.
Significa, cioè, che il reo non ha agito con la coscienza e la volontà di ammazzare qualcuno: in questo caso, non ci sono prove che Ciontoli volesse uccidere il fidanzato della figlia, l’ipotesi del colpo accidentale può anche essere credibile.
Ma quello che sorprende e scandalizza è il fatto che la morte di Marco sia stata collegata al colpo, partito forse accidentalmente, e non a ciò che è accaduto dopo.
Lo sparatore e tutti gli altri hanno atteso COSCIENTEMENTE molto tempo prima di chiamare i soccorsi, ne hanno rallentato l’intervento, descrivendo un banale incidente, un buchino di pettine, un attacco di panico: quindi, la morte di Marco, ferito, sia pur per errore, avrebbe dovuto essere collegata ad una azione volontaria e consapevole, una particolare sfumatura che si definisce “dolo eventuale”.
Tutti, Ciontoli in primis, erano nella condizione di prevedere che tale condotta successiva allo sparo avrebbe potuto “eventualmente” causare la morte di Marco Vannini, eppure, hanno coscientemente accettato la possibilità che questa conseguenza si verificasse. Hanno scelto di non fare, di temporeggiare, di non sbrigarsi a chiamare aiuto, di non salvare. Per questo motivo, in primo grado, Ciontoli era stato condannato a quindici anni di reclusione.

In un certo senso, questo verdetto d'appello ha spostato le reazioni popolari dal piano razionale della giustizia a quello emotivo della vendetta. Desiderio, questo, che emerge più forte quando si ha la percezione di una giustizia che non abbia compiuto fino in fondo il suo dovere.
Nella circostanza, è palese che la morte è stata determinata dalla non tempestività dei soccorsi, dovuta a un comportamento dilatorio e menzognero.
La derubricazione del reato a semplice omicidio colposo appare, pertanto, ingiustificata e incomprensibile e ha dato luogo a una travolgente reazione comune, che non è solo rabbiosa e assetata d'odio e voglia di rivalsa, ma supportata da validi, innegabili motivi.
4 febbraio 2019 (Alfredo Laurano)


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