martedì 9 ottobre 2018

C’E’ SOLO UN CAPITANO


“Che cosa devo fare - scrive Francesco nel suo ”Capitano” -  per essere degno di un amore così folle, così assoluto, così esagerato? Io non l’ho mai chiesto, non per rifiutare le responsabilità che comporta, a quelle non sono mai sfuggito. No, non l’ho mai chiesto perché sono timido.”
Era timido, Totti, da bambino e lo è anche adesso, imbarazzato davanti alle infinite manifestazioni d’affetto che lo lusingano oltre ogni limite. Succede ancora oggi, dopo il forzato addio al prato verde, quando entra in uno stadio, in un aeroporto, in un albergo, in un negozio: tutti gli vanno incontro, per un autografo, per un selfie, per abbracciarlo.
È sempre stato così, praticamente dal primo giorno.

“Romano e romanista, aggiunge, vengo considerato uno di famiglia. Tutti i tifosi mi vorrebbero invitare alla comunione dei figli. Ecco, questa forse è la vera differenza con gli altri calciatori che di solito sono idoli, modelli, poster in una cameretta. Gli idoli passano, i poster si strappano, figli e fratelli, invece, non tradiscono mai.
Significativo l’episodio che apre la biografia, scritta con Paolo Condò.
“Èccome, èccome, prima io”, urla il giovane detenuto, Capita’, io dovevo usci’ ’na settimana fa, finito, pena scontata. Però, quanno ho saputo che venivi, me so’ detto: “E quanno me ricapita l’occasione de famme ’na foto cor capitano in posa? Mai, campassi cent’anni…”. Allora ho chiesto al direttore e l’ho implorato de resta’ fino a oggi. Ma siccome er regolamento nun lo prevede, me so’ giocato er jolly: “Guardi, se lei me fa usci’ io faccio ’na cazzata pe’ torna’ dentro subbito, nun conviene a nessuno dei due”, e lui ha capito.”
Sette giorni in galera gratis, solo per farsi una foto con il “Capitano”.

Il libro, presentato al Colosseo (e dove se no?), oltre a tanti altri aneddoti, racconta il Totti di tutti, il Totti figlio di quartiere, orgoglio di una città con cui vive in simbiosi, ma nella quale, presto, non potrà più passeggiare come gli altri.
È come rivedere un lungo filmato delle teche Rai: un emozionante viaggio nel mondo del calcio “ai tempi di Totti”, che scava nella sua intimità, che sottolinea soprattutto gli aspetti umani e personali di un campione fatto in casa e cresciuto in strada a pane e pallone.
Che racconta la sua infanzia, la saggezza di mamma Fiorella, le sue paure di bambino, la pappa reale per favorire lo sviluppo, la sua poca voglia di parlare, i compagni di Porta Metronia, i giochi, le liti e i primi calci a quella sfera magica che lo consacrerà fenomeno.
La fortuna, dicono le cronache o le leggende, lo avrebbe baciato in fronte, quando, in prima elementare, l’intera sua scuola viene ammessa a un’udienza papale in Vaticano, nella celebre sala Nervi. 
La mamma, con in braccio il pargolo, spingendo e sgomitando, riesce a guadagnare la transenna, per trovarsi a un passo da Giovanni Paolo II che, dopo averla superata, torna indietro e bacia il biondo Francesco. 
È il segno del destino. L’investitura ufficiale del campione.
Riservato, ingenuo e vergognoso, quel pargolo è cresciuto, non senza qualche difficoltà (molte meno, però, di quante ne abbia patite Messi), sognando di fare il benzinaio, perché ammirato dal fascio di banconote arrotolate nelle sue tasche, che gli sembrava tutta la ricchezza del mondo, con il calore di una famiglia sana che lo seguiva sempre, fra i primi amori estivi di Tropea e Torvaianica, fino a rivelare il suo talento e a subire il furto di tre zerbini a settimana (i tappetini di Totti), reliquie o souvenir di tifosi feticisti, davanti alla porta di casa, dovuta poi lasciare perché sempre sotto assedio.
Quando passi molto tempo in strada, ne diventi figlio. “Via Vetulonia è stata questo, per me: il mio meraviglioso parco giochi. Prezioso e protettivo. La strada manca molto ai giovani calciatori di oggi, e non occorre andare più lontano per capire come mai le generazioni passate scoppiavano di talenti, mentre ora pare così difficile trovarne uno. Noi trascorrevamo cinque ore   al giorno, e d’estate dieci, a fare passaggi e tiri oppure partita, sviluppando tecnica, istinto e capacità di sopravvivenza in campo.”
Correre, calciare, lottare, cadere, colpire: come il Gladiatore suo film mito, come quello tatuato sul suo braccio.

Sono tanti i capitoli e gli episodi ricordati con molta intensità e precisione.
Le sue prime squadre, la Fortitudo e la Lodigiani, l’arrivo a Trigoria, la Roma Primavera, il debutto in serie A, il primo ricco assegno inaspettato, le figurine dei giocatori della Lazio, attaccate sull’album a testa in giù, “perché non volevo nemmeno vederli in faccia”, la corte del Milan e del Real Madrid, lo scudetto e la relativa festa, i suoi allenatori: da Boskov a Mazzone, da Zeman a Carlos Bianchi, da Capello a Luis Enrique, da Garcia a Spalletti uno e due. La nazionale “amante clandestina”, con Zoff e Lippi, la coppa del mondo, i tanti infortuni e la rottura del perone che mise in pericolo la sua partecipazione al mondiale 2006. I rapporti con l’amico, generoso e matto, Cassano, il “fantantonio”, l’incontro e il matrimonio con Ilary, i figli e tanto altro ancora.

Fino al quel 28 maggio del 2017, il giorno dell’addio al calcio giocato, a 41 anni, che ha fatto piangere Roma giallorossa e mezza Italia, davanti alla TV.


Quanto amore in quello stadio. Quanti diversi e contrastanti sentimenti hanno affollato e toccato quegli spalti, pieni di gente assai provata.
Quanta commozione, quanta passione, quanta sofferenza hanno segnato quei volti senza età, sopraffatti dalla tristezza e dal dolore.
Quante lacrime di tifosi, amici e compagni hanno trasformato l’erboso Olimpico in una piscina, in un mare di emozioni che potevano toccarsi, stringersi e scambiarsi.
"Sei unico": era scritto su migliaia di magliette. O “Fiero di essere vissuto ai tempi di Totti” e, addirittura, “volevo morì prima!”
Quanti cartelli, striscioni, slogan, numeri dieci, hanno colorato l’aria, lo sfondo e il colpo d’occhio di quel teatro popolare e vero che si chiama calcio.
Forse perché non siamo più abituati a tanto spettacolo genuino di umanità.
Il saluto a Totti, la sua toccante lettera ai tifosi - sofferta, preparata e letta con autentica sofferenza, come lo stesso libro ricorda e racconta - sono stati un vibrante momento di partecipazione collettiva, una manifestazione di amore immenso, reale e spontaneo. Un tributo all’imperatore che ha fatto sognare più generazioni, con le sue gesta e i suoi tanti momenti d’arte e di magia.
Perché un campione è di tutti, perché diventa simbolo di genialità universale, al di là delle singole bandiere. E lui, come pochi altri, lo è stato dopo 25 stagioni, dopo circa ottocento partite e dopo aver segnato oltre 300 reti.
Del “capitano”, oggi dirigente, non svanirà la sua bella immagine di calcio pulito, di bravo ragazzo generoso, di icona popolare e di modello, per le emozioni che ha saputo regalare.
E queste pagine, velate di malinconia, tra mille suggestioni e punte di ironia, hanno il merito di raccontare la passione e i sentimenti, di tramandare il mito e narrare una leggenda di grande bellezza.
Non a caso nella prima sequenza dell’omonimo film di Sorrentino, compare il suo nome su un giornale, in mano ad un turista. (Alfredo Laurano)




Nessun commento:

Posta un commento