giovedì 28 settembre 2017

STORIE DI BARONI E DI FAVORI

Viene da Firenze l’ultimo tentativo di normalizzare il sistema massonico di selezione delle cattedre negli atenei italiani.
Ma è solo un caso, poteva succedere a Roma, a Napoli, a Bari, a Milano o in qualsiasi altra Università di questo corrotto Paese. Troppi atenei, troppi baroni hanno il vizio di sistemare i propri protetti e amici, lo sapevamo da sempre.
Il trucco si ripete in tutti i settori accademici, in modo trasversale e in tutta la filiera, del precariato della ricerca. Dall'accesso al dottorato fino all'abilitazione nazionale e alla cattedra.
A mia figlia, docente precaria da diciassette anni all’Università di Roma, è successa la stessa cosa, qualche anno fa: “ottima prova, la migliore senza dubbio, ma stavolta c’è già uno che DEVE vincere. Il prossimo posto da associato sarà sicuramente tuo”, le dissero in confidenza. Mentivano spudoratamente.
Le suggerii anch’io di registrare i dialoghi in futuro, per denunciare, ma non ne fu capace.
La meritocrazia non conta, non è un valore, un riconoscimento. Essere il migliore può rivelarsi non un pregio, ma un difetto da penalizzare. Almeno nel mondo alla rovescia dell'università italiana.

Invece, il ricercatore Philip Laroma Jezzi, proprio con il microfono, ha incastrato i baroni che gli avevano “suggerito” di abbozzare e di ritirarsi: "Se fai ricorso addio carriera”.
Invece, testardo, ha rifiutato di ritirarsi e ha mandato alla Finanza le registrazioni.

"Con che criterio sei stato escluso dal concorso? Col vile criterio del commercio dei posti". 
Il noto ex docente di diritto tributario Pasquale Russo, spiegava al ricercatore, che voleva diventare professore associato, come funzionavano le cose. Cercava di convincerlo a ritirarsi dalla corsa dell'abilitazione, perché i vincitori erano già stati decisi e far passare lui avrebbe potuto metterli in grossa difficoltà.
"Non è che tu non sei idoneo, è che non rientri nel patto del mutuando".

Ma, l’illustre accademico Russo, che sapeva bene chi avesse davanti - spiegherà, poi ad un collega che "Laroma, come intelligenza e laboriosità vale il doppio degli aspiranti associati che partecipano alla selezione” -  non immaginava che, quel 21 marzo del 2013, chi stava ascoltando la sua lectio magistralis sul mondo dei concorsi, dopo la riforma del 2010, avesse acceso il registratore sul telefono.

Laroma Jezzi non ritirò la domanda e a dicembre 2013 venne regolarmente bocciato.
Fece ricorso al Tar e lo vinse. Ora è abilitato come associato.
Furono proprio le parole memorizzate sul cellulare del candidato estromesso a far partire l'inchiesta che ha travolto oggi un intero settore di Giurisprudenza.
59 indagati, 22 agli arresti domiciliari: era ora! 
26 settembre 2017 (Alfredo Laurano)


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