lunedì 24 aprile 2017

LA SPOSA DI GABRIELE

Lodevolmente, Raitre ha appena messo in onda “Io sto con la sposa”, il docufilm del 2014, finanziato “dal basso”, del giornalista scrittore Gabriele Del Grande di 35 anni, recluso da dodici in un carcere turco, senza conoscere ancora l’imputazione. Era stato fermato e arrestato il 9 aprile, al confine fra Turchia e Siria, mentre raccoglieva immagini e interviste per un reportage. Solo ieri, ha potuto parlare con il vice-console e con un avvocato.

Nel film, selezionato a Cannes fuori concorso, cinque profughi siriani e palestinesi, arrivati a Milano dopo essere sbarcati a Lampedusa, cercano di raggiungere la Svezia, senza essere arrestati dalle varie autorità dei Paesi che attraversano.
I protagonisti di questa avventura sono in fuga dalla guerra, dalle dittature e dai soprusi, dalle loro città devastate, fiaccati dalla miseria e dal terrore.
Sono sopravvissuti a un lungo e tormentato viaggio, alla traversata in mare, hanno rischiato la vita, hanno perso compagni e i loro affetti e abbandonato tutto quello che avevano costruito, prima dell’orrore della guerra.

Coinvolgendo una giovane ragazza siriana con passaporto tedesco, il gruppo inscena un matrimonio, con abiti adeguati, considerando che "nessuno oserebbe mai fermare un corteo nuziale".
E così, nei quattro giorni trascorsi tra Milano e Stoccolma, passando per i monti al confine con la Francia, il Lussemburgo, la Germania e la Danimarca, si raccontano e raccontano le loro storie vere, i loro drammi, le loro speranze in un futuro senza più né guerre né frontiere. “Perché il sole è di tutti, il mare è di tutti”.
Le loro semplici parole spiegano con sincerità e commozione - soprattutto agli indifferenti - chi è veramente un profugo, chi ha dovuto fare una scelta difficile, decidere necessariamente tra poche alternative, ugualmente indesiderabili, ricordandoci che nessuno sceglie di essere un rifugiato e che gli effetti dolorosi di quello status permangono anche dopo l'espatrio, condizionando la vita futura.
Ad aiutarli nell’impresa, un regista, un giornalista, un poeta siriano-palestinese ed alcuni amici, tutti convinti che nella vita, prima o poi, bisogna scegliere da che parte stare. Schierati da quella del sogno, disattendono le leggi sul favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e arrivano alla meta.

Il coinvolgente documentario che Del Grande ha diretto insieme ad altri, ci fa conoscere più a fondo il suo pensiero: quello di un operatore culturale eticamente impegnato, di persona di grande umanità e sensibilità, che conosce bene il fenomeno migratorio e che rischia in proprio per aiutare chi fugge dalle bombe, chi non ha più diritti se non quello di essere salvato, chi ha perso tutto e non ha mezzi, denaro e altre possibilità.
Ha realizzato un bel film manifesto che squarcia certi complici silenzi, ipocrisie politiche e istituzionali, logiche razziste e luoghi comuni, diffusi ad arte da nemici della solidarietà, per spaventare e fomentare odio e rabbia. Un documento che apre (già tre anni fa) la necessità di un dibattito sulle leggi che hanno trasformato le nostre frontiere in cimiteri.
Perché il diritto - ricordando le parole di Hanna Arendt, non è neutro: “le leggi sono scritte da uomini e a volte sono scritte male. Crediamo sia arrivato il tempo di disobbedire, di dire che nessun essere umano è illegale”.
E che i ventimila morti in mare di questo ventennio non sono vittime della burrasca, ma delle leggi che hanno impedito loro di viaggiare in aereo, con un visto sul passaporto.
E ora, aspettiamo tutti che il sultano della mezza luna liberi Gabriele
.22 aprile 2017 (Alfredo Laurano)


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