sabato 1 aprile 2017

FIGLI DELLE STELLE

Guai a chiamarli cuochi! E’ umiliante e riduttivo, quasi un’offesa: come lavapiatti, bracciante, manovale o zappatore. 
Sono gli chef stellati, i numi tutelari dell’altissima cucina, gli scienziati della gastronomia che stupisce con effetti speciali, gli artisti della tavolozza che non cucinano, ma creano e spennellano sui piatti. Tutto secondo le mode e il proprio estro, rivisitando o rinnegando la tradizione, Pellegrino Artusi e la sua scienza. 
Ogni loro portata rifugge, per statuto, dalla banalità e dalla semplicità. 
Deve essere “inventata” e composta, non solo nei sapori, nei profumi e negli accostamenti, ma esaltata dalle immancabili note di dolcezza, croccantezza, freschezza, sapidità e dalle indispensabili punte di acidità. 
    Richiede, soprattutto, un’accurata preparazione da sala operatoria, con tanto di pinza e bisturi: ogni pacchero o fusillo o frutto di mare viene collocato singolarmente nel piatto, come un tassello nel mosaico, fra sfumature di colore, grattatine di agrumi, schizzetti e sporcature varie di salse e riduzioni.
Come fossero quadri di Picasso o di Guttuso. Siamo al colmo del ridicolo. 

Di quest’ altra nuova Casta, che opera e produce per pochi fortunati eletti, si è occupato Report, appena tornato in onda senza la fondatrice storica Milena Gabbanelli, condotto dal bravo Sigfrido Ranucci. 
L’ inchiesta rivela come dietro il fantastico mondo della cucina ci sia in realtà un gioco delle parti, di regole e ricatti, e un intreccio promiscuo tra cuochi, fornitori e critici delle più prestigiose guide. Un indotto che porta soldi e notorietà a pochi e che crea un sogno per molti: soltanto l’anno scorso, sono stati duecentomila i ragazzi che hanno frequentato gli istituti professionali alberghieri, prima quasi ignorati. 
Come racconta il reportage di Bernardo Iovene, una stella Michelin cambia la vita a un ristorante e allo chef, ma anche le forchette del Gambero Rosso e i cappelli dell’Espresso possono fare la sua fortuna, perché da quel momento raddoppia il suo fatturato, ha la possibilità di partecipare a trasmissioni televisive come opinionista, a eventi culinari nazionali e internazionali, avere sponsor, diventare consulente, docente, fondare scuole, diventare ambasciatore del gusto. 
Ma agguantare stelle, cappelli e forchette ha un prezzo, se lo domanda Report e lo chiede agli addetti ai lavori, in varie interviste e testimonianze, per scoprire tutto quello che c’è da sapere quando ci si siede ad un tavolo griffato e che nessuna guida scriverà mai. 

Per entrare in quel circuito, però, necessita avere lo sponsor giusto, il fornitore giusto - ad esempio le acque della Nestlé e il Grana padano - e l’amico critico che gira senza maschera - come fa invece Visentin, unico, di cui nessuno conosce il volto - e che è disposto a chiudere un occhio se c’è da scambiare qualche favore. 
I 334 ristoranti stellati Michelin in Italia fatturano complessivamente 260 milioni. Sono sottoposti a verifica in incognito degli ispettori Michelin e anche delle altre guide ogni anno. È importante il locale, come si tiene la cucina, la cantina deve essere sempre attrezzata e i piatti sofisticati, creativi e buoni. 
Tra i più famosi, quelli che sono sempre in televisione, più che al ristorante, si parte dal numero uno: Massimo Bottura, con la sua Osteria Francescana e Franceschetta (che distribuisce surgelati e precotti) che ha un giro d’affari di quasi cinque milioni di euro. 
Poi c’è Bastianich, con oltre due milioni di euro e che, di recente, ha aperto un ristorante a Milano con Belen e ne ha una sfilza a Las Vegas, New York, Los Angeles e Singapore. 
Carlo Cracco ha un giro di consulenze per un milione e ristoranti per oltre 6 milioni, anche a Mosca, ma gestisce anche hotel pizzerie, pub e mense. 
E ancora Heinz Beck: consulenze e ristoranti a Roma, a San Casciano, a Pescara, in Portogallo, Emirati Arabi e Giappone. 
Bruno Barbieri, Alessandro Borghese, che non ha un ristorante, ma in compenso ha un’azienda che fa servizio di catering a domicilio, sempre in TV, come Antonino Cannavacciuolo, il Gordon Ramsey alla napoletana, che fa “Cucine da incubo” sul Nove.
Per fortuna, esiste l’eccezione della cucina “morale” di Pietro Parisi, che quando tornò in Italia da esperienze internazionali ambiva anche lui a prendere una stella. 
Poi, resosi conto della difficile realtà contadina delle sue terre, vi rinunciò e cominciò a sostenere le produzioni locali, facendo la spesa al mercato di Sarno la mattina e aspettando sul molo i pescatori al tramonto. 
Dietro quei rinomati chef griffati che, quando sono all’apice del successo, incassano anche dalle attività extra, (ospiti in tv, spot pubblicitari, pubblicazioni, inaugurazioni) e dai corsi di formazione, si alimentano le speranze di tanti giovani stagisti, corsisti e aiuti di cucina che sopportano orari massacranti e si sacrificano in doppi turni di lavoro - pagati (pochissimo) soltanto per uno o per metà a nero - senza tutele sindacali e nemmeno sanitarie: “se qualcuno si taglia, finisce il turno e poi va in ospedale”. 
Ma tutto questo per loro non è sfruttamento, è un ruolo ambito e ricercato, un bacino di esperienza che fa curriculum, mentre gli stellati cucinieri, arroganti, presuntuosi e spesso anche assai ignoranti, a volte non si sporcano nemmeno le mani e la candida divisa. Godono di assoluti privilegi, giudicano con disprezzo e maltrattano gli aspiranti chef, pretendono duecento euro per qualche assaggio di cibo per gli occhi e per gli illusi. 
Io vado in trattoria. 
30 marzo 2017 (Alfredo Laurano) 

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