sabato 15 aprile 2017

IL RAGAZZO DEL PI GRECO

Sullo sfondo di una natura complessa, meravigliosa, feroce e, a volte, indecifrabile, prende corpo la travagliata storia del giovane indiano Pi Patel, mirabilmente interpretato da Suraj Sharma.
Vita di Pi di Ang Lee (ieri sera su Raidue) è un film spettacolare, un dramma sospeso fra il romanzo di avventura, una vivida rappresentazione dei sentimenti e dei rapporti umani e una parabola filosofico-religiosa, con tante possibili chiavi di lettura, riconoscibili in vari momenti del film: onirica, metafisica, religiosa, etica, esistenziale, sentimentale, razionale e passionale. L’opera ha riscosso un enorme successo di pubblico e di critica, vincendo anche 4 premi Oscar (Miglior Regia, Miglior Colonna sonora, Migliori Effetti speciali, Miglior fotografia).
E’ un racconto intenso e palpitante, avvolto di armonia e poesia, che invita a profonde riflessioni spirituali e che trascina lo spettatore nella tormentata odissea oceanica e nel percorso di crescita del diciassettenne protagonista verso l’età adulta, attraverso la fede, il sogno e la razionalità: è l’unico superstite di uno spaventoso naufragio, solo su una scialuppa dispersa nel Pacifico, con la sola compagnia di una tigre, cresciuta nello zoo di famiglia. Gli altri tre animali allegorici sopravvissuti - una jena (il cuoco burbero della nave) che uccide una zebra (un marinaio) e un orango (l’affetto e la madre di Pi), a sua volta sbranata dalla tigre - escono presto di scena.
Un apologo esemplare che, all’interno di una impareggiabile cornice narrativa, coniuga il difficile sforzo per la sopravvivenza con la potenza del 3D e la magia della computer grafica, in un incredibile e lungo viaggio verso realtà inesplorate, tra tempeste e animali umanizzati, tra giochi di specchi mare e cielo e balene luminescenti, colonie di delfini e pesci volanti, tra incredibili peripezie, pericoli, attacchi mortali e l’approdo sulla lussureggiante isola dei suricati, che di notte diventa carnivora. 
Suggestiva l’ambientazione e impenetrabile il segreto che quel luogo nasconde: a causa di un misterioso processo chimico, ogni cosa diventa tossica (l’acqua diventa acida, uccidendo i pesci che nuotano nelle pozze di acqua dolce) e i suricati sono costretti a rifugiarsi sugli alberi dalle infinite radici.

Il talento, la forza, la fiducia e l’intelligenza, però, prendono il sopravvento per condurlo stremato alla salvezza, come per incanto, insieme alla feroce tigre con cui ha condiviso la straordinaria avventura. La tragedia del naufragio subìto e il dolore lacerante per l’improvvisa perdita dei suoi familiari trasformano lentamente le sue sofferenze in prorompente necessità di vivere.
A quelle ferite, a quel suo pathos interiore, si unisce la speranza e subentra il rapporto con il divino, elemento portante del film, che viene in soccorso quando la morte sembra giungere all’improvviso.
Sensibile a tre religioni (Induismo, Cristianesimo e Islam), Pi - per gli amici diventato Pi greco, ad evitare le storpiature e le derisioni sul suo originale nome Piscine -  continua a confidare in Dio, il suo vero compagno, colui che si manifesta sotto forma di pesce quando ha bisogno di cibo, colui che è il sole durante una tempesta, colui che è l'infinito oceano, colui che è tutto.
Ma non ha solo lui al suo fianco durante questa esperienza estrema. La stessa Richard Parker, la feroce tigre del Bengala, pronta a mangiarlo vivo da un momento all'altro, è la ragione che in fondo gli regala la vita e la voglia di andare avanti nel suo viaggio e di ritornare al mondo.
Uomo e felino uniti nella più surreale, imprevedibile simbiosi, un’attrazione che profuma di fascino e magia, una fatata seduzione che solo un certo cinema sa pennellare.
(Alfredo Laurano)


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