lunedì 31 agosto 2015

L'ALTRA VIA

I numeri ormai non contano più, se non a fini statistici 0 per stilare macabri bilanci: sono decine, centinaia, migliaia i morti in questi ultimi anni sui barconi della disperazione, in fuga dall’orrore, dalla miseria e dalle guerre per cercare una possibile, ma spesso improbabile salvezza. Fa poca differenza ormai sapere che in quel singolo naufragio sono affogati pochi, tanti o tantissimi o quante fossero le donne e i bambini, perché la percezione del disastro prescinde dalle sue proporzioni. E’ solo cronaca, è solo una notizia.
L’assuefazione dell’opinione pubblica alle stragi quotidiane dei migranti è quanto mai evidente e sempre più palpabile. Ogni giorno, Rete, giornali e Tv portano nelle nostre case  notizie di annegamenti e barche rovesciate, di corpi recuperati, dispersi o seppelliti nel grande mare della vergogna, mentre mangiamo, beviamo e, distrattamente, commentiamo. Con grande pietà, compassione e con una certa disinvoltura le digeriamo velocemente, come il cibo che assumiamo, senza alcun reflusso etico-esofageo.
Il rullo media­tico macina quei morti a pranzo e a cena, all’ora dell’aperitivo o della siesta, e l’abitudine, cancellando lo stupore e la sorpresa, rende quasi normali e sop­por­ta­bili cose spa­ven­tose: l’orrore, la pena e il dolore sono sempre in onda e per questo perdono di valore e di originalità.

Ma la regia occulta di questa epocale tragedia a puntate quotidiane, spesso, troppo uguali e anche noiose, in questi giorni ci ha regalato qualche diversivo.
Fermi il soggetto, la trama e il contesto ambientale, storico e sociale, abbiamo scoperto che tanti disperati non sono morti affogati nel “mar cimitero”, ma accatastati e sovrapposti come pacchi nella minuscola stiva di un barcone sovraccarico e fatiscente, respirando i veleni e i gas di scarico dei motori. In una bara multipla, appena galleggiante,  senza un grammo d’aria e d’acqua e pressati, calpestati e minacciati dagli scafisti.
Ma non solo. Altri loro fratelli di tortura - oltre settanta, con donne e quattro bambini - sono rimasti asfissiati nel cassone sigillato e privo d’aria di un camion frigorifero, con il quale speravano di passare le frontiere. Morti parcheggiati fra le lamiere arroventate di un grosso mezzo abbandonato in Austria, lungo l’autostrada.
 E per finire, la rotta dei Balcani. Altro calvario, nuove tribolazioni.
Il Mediterraneo che dalle coste africane porta in Italia attraverso il Canale di Sicilia non è più la tratta più utilizzata per entrare in Europa. Oggi, la gran parte dei migranti che cerca di arrivare nell’Unione Europea lo fa tentando di attraversare i Balcani.
Dall’inizio dell’anno, 160mila persone sono giunte in Grecia, partendo dalle coste della Turchia, la maggior parte con l'intenzione di con l’intenzione di proseguire verso nord.
Migliaia di profughi, soprattutto siriani, iracheni e afgani, camminano a piedi per centinaia di chilometri, lungo un binario o sentieri di campagna. 
Attraversano l’Ungheria, la Serbia, la Macedonia, evitando muri, eludendo controlli e fili spinati o trovando i pestaggi della polizia; senz’acqua e senza cibo, con una borsa, uno zainetto o un bambino in braccio: tutto il loro avere, la loro casa, la loro speranza di sopravvivenza.
Si muore e si subisce violenza anche sulla rotta dei Balcani, non solo durante le traversate nel Mediterraneo. Almeno 150 migranti hanno trovato la morte lungo questa pericolosa via: annegati nel tentativo di attraversare il mar Egeo o rimasti uccisi lungo le ferrovie.
Nel corso del tormentato viaggio, subiscono violenze ed estorsioni ad opera delle autorità e di bande criminali e vengono vergognosamente abbandonati a se stessi dal sistema d’immigrazione e asilo dell’Unione Europea, che li lascia intrappolati in Serbia e Macedonia, privi di protezione.
Sono oltre 61mila le persone fermate lungo quei confini. 
Lo denuncia Amnesty International in un nuovo rapporto a proposito delle migliaia di rifugiati, richiedenti asilo e migranti, bambini inclusi che subiscono violazioni in Serbia, Macedonia e Ungheria. 
Forse dovremmo indignarci, manifestare, protestare, costringere l’Europa a intervenire e agevolare l’esodo umanamente, visto che non si può ignorare, né fermare, né, come dice Francesco, far finta di niente. 

A meno che qualcuno non riesca, miracolosamente o per magia, a rimuovere le cause che lo determinano: le guerre, la fame, lo sfruttamento, le disuguaglianze, in tutto il mondo, in tutti i tempi.
Nell’attesa, buon appetito a tutti.

30 agosto 2015   (Alfredo Laurano)



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