giovedì 13 agosto 2015

PREGO, VUOL SBALLARE CON ME?

Grazie, preferisco di no. Celentano nel 1963.
Quelli della mia generazione non l’hanno conosciuta. Non esisteva proprio.
Al massimo, per cercare il divertimento, un timido accenno di trasgressività, come tentativo di misurarsi con la realtà in tema di amori e di costume o come volontà di opporsi a certe rigide regole morali e sociali, ovvero i canoni della cosiddetta normalità. Tutto, pur di uscire dal conformismo e dall’anonimato, accentuando in tal modo la propria identità individuale e opponendosi ad uno stile di vita troppo convenzionale. Era così e lo è stato, almeno, fino al sessantotto.
Il gusto del proibito: piccole azioni atte a soddisfare esigenze psicologiche e relazionali o a vincere il disagio economico o familiare, come il mentire, inventare una storia o uno studio, marinare la scuola, sorseggiare un cognac, fumare di nascosto.

Oggi, invece, domina la cultura dello sballo.
Musica martellante che rintrona la mente e annichilisce gli svogliati neuroni, alcol a fiumi, pasticche di ecstasy o di àmnesia - spesso adulterate e contraffatte per aumentare i margini di guadagno - in un coktail micidiale che porta allo stordimento, al falso paradiso del benessere, allo stupore più stupefacente. È la vertigine che sconvolge i sensi, amplifica le sensazioni di libertà, piacere e onnipotenza e rimbecillisce spirito e ragione.
Troppi giovani riescono a stare insieme (non a socializzare) e a divertirsi solo in mezzo al rumore assordante e alla sovraeccitazione collettiva: pseudo-musica elettronica acid house, tekno, jungle, a tutto volume, in anonime discoteche o in estenuanti rave party fuori città, con luci strobo a intermittenza, come da sussulti epilettici. Un insulso spettacolo che vede oscillare in penosi spasimi, apparentemente umani, una serie di manichini senza corpo, come zombi danzanti nel vuoto di coscienza, sostenuti spesso dall’effetto - a volte drammatico - di droghe assunte per uno svago demenziale.
L’importante è spostare sempre più in là il traguardo dello choc, alzare il livello della tollerabilità, fino allo sballo: per superare ansie, insicurezze, fragilità, depressioni e panico si va all' eccesso, agli estremi, all' autodistruttività.
La sfida appartiene ai giovani e ogni epoca ha i confini su cui misurarsi. Per molti, la parola d’ordine è: annulliamoci nel divertimento collettivo di cui non siamo consapevoli e viviamo questa condizione come un privilegio della nostra giovinezza.
Da adulti, viene da interrogarsi su che mondo e che modelli trasmettiamo, che visione abbiamo del quotidiano, della vita e della persona umana, su quale scala di valori misuriamo gesti e pensieri, che futuro immaginiamo, che tipo di esempio sappiamo dare. Con il risultato, spesso, di approfondire con il nostro comportamento, con la nostra assenza, incapacità o indifferenza, il solco tra generazioni e incomprensioni.
Le morti tragiche e inutili dovute alle “pasticche”, all’alcol, alle droghe e alle dipendenze varie, danno il segnale di una generazione che affronta la vita senza speranza.
Invece di sognare, progettare, lottare e spendersi per qualcosa di importante, prevale l' autoconvincimento dell' inutilità del sacrificio, rispetto al risarcimento artificiale di momenti di divertimento effimero, fuori da schemi e convenzioni.
Si vive lo sballo come gratificazione immediata e appagante, si ragiona poco con la propria testa e si usa quella della massa, dei miti e delle mode: errori generazionali che impediscono alla società di crescere.
Le droghe si diffondono perché costano relativamente poco, sono per tutti e si spacciano facilmente dappertutto. Un'informazione superficiale e complice ne minimizza gli effetti devastanti e nasconde i rischi diretti e indiretti della loro assunzione.
Le famiglie hanno certamente gravi colpe e responsabilità. A volte ignorano i problemi dei figli, non li seguono, non vigilano e confondono il dialogo con la permissività, la comprensione con il lassismo. Ma troppo spesso sono lasciate sole nel complicato compito di crescere ed educare.
La scuola, dal canto suo, per come è organizzata nella realtà sociale in cui viviamo, non prepara e non informa adeguatamente.
A questo bisogna aggiungere le particolari difficoltà psicologiche che, da sempre, accompagnano l' adolescenza, quell' incerta età in cui non si è più bambini, ma non si è ancora adulti, con le pulsioni dell' organismo che premono con forza: “Sedici anni e quella stupidità tipica dell' adolescenza che fa credere di essere invincibili, astuti, di essere grandi. Sedici anni quella età della provocazione”.
La droga ruba la vita ai nostri figli. E' un male che va combattuto e prevenuto, ma per poterlo sconfiggere bisogna conoscerlo e farlo ben conoscere proprio a loro, per tempo e col massimo preavviso.
"Se le famiglie esercitassero un po' più di controllo sui figli, non morirebbe un ragazzo alla settimana in discoteca. Se non sai educare non procreare". Così aveva scritto su Twitter il sindaco di Gallipoli, dopo le recenti morti di giovanissimi ragazzi al Cocoricò di Rimini, al Guendalina di Santa Cesarea e, ora a Messina.
Come dargli torto?
Almeno fino a quando lo Stato non aumenti i controlli su scuole, piazze e discoteche, rafforzi la prevenzione e la repressione nei luoghi di ritrovo e di spaccio e punisca con rigore e con certezza i tanti dispensatori di morte e distruzione.
12 agosto 2015 (Alfredo Laurano)





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