giovedì 12 settembre 2019

MUTAZIONI ANTROPOLOGICHE


Nel palazzo di Montecitorio, cori da stadio, urla, battute, slogan, magliette e rumori, esibiti dalle opposizioni.
Fuori, nella piazza, altri fascio-leghisti urlano, insultano e protestano, guidati dalla abbaiante Meloni, da Toti e da Salvini, che, fra striscioni, cartelli, tricolori e saluti romani, parlano di truffa politica, di furto di democrazia (?), di fabbriche di poltrone e sofà nel nuovo governo giallo-rosa Bis-Conte.
Dopo l’inutile e ingenuo suicidio politico di capitan Cocoricò, che sperava e contava di andare a elezioni - proprio per aumentare ipocritamente il proprio numero di quelle poltrone - questa nostalgica parte politica del Paese non sa più che fare, come muoversi, come rassegnarsi, come sperare o rimediare al colpo di sole agostano. Intanto, “facimo ammuina”, per restare nei titoli, nell’attualità e non perdere altri consensi.

Come scrive l’antropologo Marco Aime, a metà degli anni Settanta, Pier Paolo Pasolini propose più volte nei suoi scritti l’espressione divenuta poi celebre di “mutazione antropologica”, con cui voleva segnalare un profondo mutamento culturale che stava avvenendo nel nostro Paese. Il bersaglio principale di Pasolini era il borghese, l’uomo medio, “un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista” come dice un personaggio del film La ricotta.
Oggi, senza temere l’accusa di essere buonisti, snob o radical-chic, ci ritroviamo a riflettere su quella che forse è un’altra mutazione antropologica, forse in continuità con quella pasoliniana: il riproporsi dell’eterno fascismo di cui lui parlava spesso.

Quei cori inneggianti al duce, quegli slogan fascisti, quei saluti romani visti davanti al Parlamento ci inducono a considerare come sia cambiato il nostro Paese. Come, per certi versi, si stia assistendo a una pericolosa regressione storica, legata a una mancanza di memoria.
Sovranisti in piazza contro il governo Conte due, tra Inno di Mameli e nostalgie di regime, con espressioni e frasari retorici e posizioni esplicitamente autoritarie o razziste - oggi ancora possibili perché in qualche modo si sono ridotti quegli anticorpi che ogni società democratica deve contenere in sé, perché le cose non degenerino - ma che non sarebbero stati tollerati in precedenza, soprattutto da donne e uomini delle istituzioni.
E’ il fascismo eterno da cui Umberto Eco ci mise in guardia, che va ben oltre la pagliacciata del saluto romano. E' uno stato d'animo, è una condizione sociale in cui governati e governanti si incontrano e stringono un patto che di volta in volta assume sfumature diverse, mantenendone gli archetipi.

Ignoranza e malafede di certe fasce di elettorato e di certa politica becera, abbruttita ed abbruttente, sono un mix micidiale.
La mutazione in atto è, in realtà, un'involuzione di civiltà che nasce dal rifiuto della conoscenza della propria storia e dei valori morali e costituzionali su cui è stata edificata la nostra Repubblica.
La mutazione è quella dei sedicenti laureati su Google, di quei patetici tronisti da social che sbavano per i like, di tutti quei poveretti/e che anelano a prolungare il più possibile il loro quarto d'ora di fittizia e caduca notorietà, esibendo slogan muscolari da arditi guastatori: un fenomeno post-moderno di istupidimento di massa.

In questo vuoto storico, ideologico e morale di valori sani, un timido segnale arriva, tuttavia, dalla chiusura delle pagine Facebook e Instagram di Casapound e Forza Nuova. Un segnale che deve far capire e ricordare che l'apologia di fascismo in Italia è reato.
Purtroppo non è solo un deficit della capacità di ricordare o di voler conoscere, quello che, oggi, per motivi prettamente anagrafici, comincia a colpire le nuove generazioni. E’ una problematica legata all'imbarbarimento della nostra società e al razzismo diffuso, come ha detto in Aula la senatrice a vita Liliana Segre - superstite dell'Olocausto e attiva testimone della Shoah italiana.

Dall'era berlusconiana ad oggi, con colpe ben distribuite in tutto l'arco costituzionale, sono stati sdoganati comportamenti e linguaggi che invece dovrebbero essere combattuti aspramente. Politici, analisti, opinionisti, mediocri “giornalai” e furbi demagoghi, che infestano questi nostri tempi, ne fanno largo uso nei talk, sui social e sulla stampa e l'opinione pubblica, sempre più confusa e disorientata, ne assume tutti i caratteri più deleteri. 
E, troppo spesso, si iscrive nelle sovrabbondanti liste di quelli che “non si occupano di politica”,  dei disinteressati, degli apartitici e degli astensionisti.
12 settembre 2019 (Alfredo Laurano)

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