venerdì 30 agosto 2019

QUESTO MATRIMONIO S’HA DA FARE!

Intanto, per favore, non chiamatelo governo giallorosso, tutt’al più, giallofucsia o giallorosa, per giunta, pallido. Quello che sta nascendo, in realtà, ha i colori neutri della convenienza e dell’opportunismo, in attesa di conoscerne programmi, ambizioni e soluzioni.
Da una parte un movimento che si definisce post-ideologico, né di destra, né di sinistra, che guarda al pragmatismo e ai programmi, lontano da schemi e gabbie fideistiche.
Dall’altra un partito ancor più post ideologico, post comunista, post democristiano e forse pure post democratico: infatti ora è guidato da un segretario sempre sorridente, Zingaretti, ma condizionato, ricattato e ancora comandato da un ex premier, trombato, ma ancora in piedi, nonostante le promesse fatte.

Questo nuovo governo non è certo un matrimonio d'amore, ma nemmeno solo d'interesse: è una scelta obbligata, fondata su una serie di normali tradimenti e colpi bassi, di false e rinnegate promesse, di pesanti e reiterati insulti, di colpo dimenticati, e, soprattutto, sulla paura di perdere e far vincere Salvini. Di perdere consensi, poltrone, consistenza, ruoli e prestigio (e anche pensioni) nella spietata savana elettorale. Forse, potremmo dire, un matrimonio riparatore, pur senza peccato consumato.
C’eravamo tanto odiati… ma ora dobbiamo in qualche modo amarci.
Se dovesse abortire o fallire presto, per i due contraenti sarebbe un disastro annunciato, elettoralmente parlando. Se si andasse al voto, non ne uscirebbero solo perdenti, ma completamente a pezzi e vicini all’estinzione.
Uno stato di necessità, quindi, alla faccia di capitan Cocoricò che ignorava, forse, che, secondo democrazia e Costituzione, non si va a votare, sempre e comunque, in caso di crisi, quando esiste un’altra possibile maggioranza in Parlamento. Altrimenti si andrebbe alle urne ad ogni starnuto di governo, anche ogni quattro, cinque mesi.

Ma il futuro resta incerto, in attesa di far digerire alle rispettive basi - le famiglie e i parenti degli sposi - tutte le contraddizioni di questa storia d’amore forzato, che si sta dipanando sotto gli occhi del Quirinale consenziente e di un intero popolo, sconcertato come non mai.
In fondo, quello fra M5S e Pd, nonostante i reciproci anatemi e il disprezzo di facciata, era un appuntamento fatale: tutti sapevano che prima o poi si sarebbe concretizzato, anche se nessuno lo diceva.
E poteva realizzarsi già da tempo, dalle battute stonate di Fassino, dai tentativi del buon Bersani e, soprattutto, in occasione dell’elezione del capo dello Stato, quando Grillo lanciò la sfida al Pd: “Votiamo insieme Rodotà e poi facciamo il governo insieme”. Lì si vide, ricorda Travaglio, che Bersani era solo: Napolitano, Letta e il grosso del Pd avevano già in tasca l’inciucio con Berlusconi &Verdini.
E anche l’anno scorso, dopo la sonante vittoria del quattro marzo, Di Maio propose un contratto di governo anzitutto al Pd, che Renzi fece saltare con i suoi niet e con orrore, spingendo gli entusiasti vincitori tra le braccia della Lega, e regalando a Salvini 14 mesi di ascesa e di trionfi, scioccamente poi dallo stesso buttati al vento.
Ora, nonostante i Don Abbondio e i Don Rodrigo, questo sposalizio si farà, anche se, fra diffidenze e gelosie, il nuovo esecutivo non avrà vita facile e subirà presto il contraccolpo delle elezioni regionali e della manovra finanziaria. E la discontinuità antisovranista e antipopulista, che, sindacati, partiti, Vaticano e fronte popolare anti-Salvini, schierati a difesa del sistema, annunciano convinti, sarà reale?
E “l’avvocato di tutti gli Italiani”, Giuseppe Conte, quotato pure da Trump e da Bill Gates, saprà garantirla e realizzarla??
30 agosto 2019 (Alfredo Laurano)




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