mercoledì 28 agosto 2019

IL MILITE SUDATO


Mamma ti ricordi quando ero piccoletto, che mi ci voleva la scaletta andando a letto, come son cresciuto mamma mia devi vedere…figurati che faccio il corazziere!
Così cantava Renato Rascel nel lontano 1953. 

I Corazzieri sono l’unità più antica delle Forze Armate Italiane e fanno parte di un corpo specializzato dell’Arma dei Carabinieri che svolge l’alta funzione di guardia d’onore e la scorta del Presidente della Repubblica.
Le uniformi sono affascinanti. In occasioni particolari come i servizi di Guardia, i Corazzieri indossano uniformi che prevedono l’elmo con la criniera di cavallo e il sottogola. Nonostante le aspirazioni del piccoletto Renatino Rascel, sono richiesti anche determinati requisiti fisici: devono possedere un’ottima resistenza fisica per sopportare il peso della divisa (corazza compresa) per molte ore e, proprio per questo, seguono un duro addestramento che prevede esercitazioni nelle tecniche di arti marziali e della difesa personale, ma devono essere anche degli ottimi tiratori scelti. Devono essere in grado di gestire con grande abilità e prontezza situazioni che prevedono un gran flusso di gente e, dal punto di vista prettamente fisico, devono essere alti non meno di 1,90 cm e devono saper cavalcare e saper guidare le possenti Moto Guzzi California.
Devono inoltre possedere un’indiscussa moralità e i loro trascorsi lavorativi devono essere eccellenti.

I Corazzieri, tuttavia, anche se dotati, preparati e straordinari, non sono comunque dei superuomini o semidei, sono esseri umani e sotto quelle pesanti divise, soffrono e sudano in silenzio.
Sono come quello che Gabriele Romagnoli definisce “il milite ignoto, il corazziere sudato”. Quello che, impietosamente, le telecamere inquadrano spesso durante le consultazioni al Quirinale, mentre gocciola sotto il peso dell’elmo di Scipio.
In quella sala affollata dove manca l’aria, dove, per necessità di riprese TV, si accendono le potenti luci che inquadrano la porta e il leggio, i suoi turni diventano estenuanti, sotto la corazza di quattordici chili in acciaio, in attesa che i politici di turno escano, con i foglietti in mano, dove hanno scritto frasi contorte e di routine, da leggere alla nazione annoiata e stanca.
E lui, il milite ignoto, sta lì a far la guardia a una stupida porta.
E continua sudare, immobile.
Sta faticando. Sta soffrendo in compunto silenzio. Lo angosciano lo spettacolo sgangherato e il protagonismo degli attori variamente disperati, come aggiunge Romagnoli.
E’ impassibile come il suo presidente, con cui condivide una inconfessabile speranza: che tutto questo finisca, per poi, già lo sa, ricominciare.

Ma a che serve questo inutile tormento, questa pena e questo inutile patimento?
A salvare formalmente la faccia offesa delle istituzioni, dei riti assurdi e tribali che democrazia pretende?
Forse è la metafora di un popolo disgustato che suda in silenzio, magari sul materassino dei sogni che, al mare, ti porta lontano.

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