martedì 29 gennaio 2019

L’UOMO DURO INDAGATO


Forse, per effetto della sua overdose di eccitazione da comando, nella sua esaltazione di ruolo dominante, nei suoi variabili panni carnevaleschi da poliziotto, pompiere, forestale, ruspante (con la ruspa) o con l’antica felpa regionale o secessionista, il duro e inflessibile Salvini non si rende del tutto conto di cosa potrebbe a breve capitargli.
Se il Senato darà il suo consenso – e ciò potrebbe accadere, considerando i numeri della maggioranza e dei possibili alleati, il segreto del voto, le assenze in aula, le ripicche e le possibili vendette personali e il benestare già annunciato da Di Maio, nel rispetto (interessato?) della la sua sbandierata e impavida volontà di giustizia – sarebbe in effetti processato, e quasi sicuramente condannato.
Il Tribunale dei Ministri (che non è una corte speciale, ma una sezione specializzata del tribunale ordinario) ha chiesto l’autorizzazione a procedere in giudizio nei suoi confronti, con le imputazioni di sequestro di persona aggravato, arresto illegale e abuso d’ufficio, per i reati connessi alla nave Diciotti, dell’agosto scorso.
La richiesta, che contraddice quella di archiviazione già avanzata dalla Procura di Catania, arrivata ai primi di novembre, lascia intendere chiaramente l’intento di perseguire le sue colpe, altrimenti non avrebbe senso, come lo stesso superamento dell’archiviazione.

L’ardito sceriffo dei porti chiusi ha sempre dichiarato: “processatemi, non ho bisogno dell’immunità”, ma forse ignora cosa significhi affrontare un regolare processo, con tutte le conseguenze che ne derivano: il rischio di una possibile condanna da 3 a 15 anni, la fine di una carriera da politico e da segretario di partito, l’addio al potere così faticosamente conquistato, un’immagine decisamente compromessa, anche sul piano internazionale, l’abbandono inevitabile di amici e compagni di Lega.
Comunque vada, dovrà necessariamente abbassare le penne della presunzione, spogliarsi delle corna celtiche e indossare forse un’inedita divisa a righe, che oggi ancor gli manca.
(Alfredo Laurano)


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