lunedì 19 maggio 2014

LENTI E CONTENTI

 “Nella vita esiste qualcosa più importante che aumentare la sua velocità” (Gandhi)

Quando Ernesto Calindri, seduto in mezzo al traffico di città negli anni ’60, sorseggiava imperturbabile il suo Cynar - un amaro estratto dal carciofo - contro il “logorio della vita moderna”, lo stress non aveva ancora contaminato la condizione umana. E ancora si viveva lenti e contenti, anche se quel viavai di macchine faceva già paura.

Oggi, nell’era del “tutto e subito”, andiamo a tutto gas in una continua corsa contro il tempo che scandisce azioni, scelte e pensieri, come fossimo nel perenne Gran Premio che determina la nostra esistenza. Sempre più lontani dai ritmi della natura legati al clima e  alle stagioni e assorti nel nostro universo d’interessi.
La fretta è il motore che avvolge la nostra vita, che ci fa risparmiare ogni secondo e  adorare il mito della velocità. E che ci rende migliori e scattanti, preparandoci al traguardo dell’ictus e dell’ipertensione.

In questo mondo frenetico e caotico, dove se non si è più veloci degli altri, sembra di non essere al passo con i tempi, Luis Sepúlveda ci invita a riflettere sull’importanza della lentezza, attraverso la storia di una lumaca anticonformista – una favola per bambini, ma, soprattutto per adulti – e ci racconta cosa siamo e cosa rischiamo, inseguendo i ritmi folli della presunta modernità.
Moltissimi altri autori hanno decantato la lentezza.
Per Nietzsche era una vera e propria virtù.
Per Kundera “il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria; il grado di velocità direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio”.

Anche la filosofia Slow Food, che attraversa i campi dell'ecologia, del cibo, dell'etica e del piacere, va in questa direzione.
Si oppone al processo di standardizzazione dei gusti e delle culture, allo strapotere dell'industria alimentare e all’invito a divorare anche ciò che mangiamo e che ci nutre in modo rapido, veloce e senza gusto, come un obbligo sociale e burocratico, una pratica da sbrigare. E’ un incentivo al consumo acritico, al “feticismo della merce” (Marx) che deprime uno stile di vita sobrio e salutare.

Secondo natura, tutti hanno diritto al piacere, anche della tavola. Quindi bisogna vivere consapevolmente “slow”, per difendere le tradizioni e i saperi che ciò rendono possibile.
Di fronte alle scelte imposte dalla globalizzazione del mercato, sempre più aggressivo e competitivo, si diffonde e si rinnova il falso credo dell’accelerazione e dei suoi comandamenti: bruciare i tempi, eliminare ogni forma di ritardo, saltare ogni passaggio ritenuto inutile e graduale, ottimizzare le risorse, individuare obiettivi e strategie innovative, assumere decisioni immediate e sbrigative. Questo deve saper fare un illuminato manager di successo!
Dimenticando che c’ è anche la vita. Quella comune, quella di tutti giorni.

Vivere una vita più consapevole e meno frenetica permette, invece, a ogni individuo di controllare il proprio viaggio nell’avventura umana, aumentando o rallentando la corsa e gli affanni quotidiani, secondo le circostanze più opportune e le necessità di marcia o di riposo. In armonia con la natura e i suoi equilibri.

Qualcosa dev’esserci sfuggito, dobbiamo recuperare qualche barlume di umanità. 
Torniamo a osservare, sentire, toccare, riflettere e apprezzare ciò che ci circonda.
A riscoprire il valore dell’attenzione, della semplicità e l’amore per le cose buone e belle.
Saper fermarsi e godere l’attimo e il presente, spesso trascurato per anticipare il futuro puntando sul totem dell’impossibile eternità, non è mai tempo sprecato.

Perché, anche se corriamo come il vento, quel tempo ci raggiunge sempre.

19 maggio 2014                                                         
                                                                                          AlfredoLaurano                                                                                                                                                                         


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