mercoledì 28 agosto 2013

STORIE DI GUERRA E D'AMICIZIA



In un recente articolo (Variegata umanità, pubblicato il 10/8), ho parlato di Britannico, assiduo e simpatico imprenditore del marmo, che ogni mattina, al Bar Centrale, sfama
francescanamente i piccioni, con pezzetti di brioche, e discute bonariamente con tutti e di tutti è amico. Oggi, mi corre l'obbligo, come si dice nella migliore tradizione lessicale, di raccontare la singolare origine del suo non comune e poco diffuso nome, di cui solo adesso son venuto a conoscenza.

Nel 1917, in piena prima guerra mondiale, il padre Filippo si trovava sul fronte orientale, in prima linea, con un contingente di alleati inglesi , inviati per rinforzo e di supporto. Superando in qualche modo le incomprensioni della lingua, strinse amicizia con un soldato inglese. Un sentimento sempre più profondo, cresciuto in fretta e cementato dalla reciproca paura e dalla precarietà delle loro vite in bilico. Consapevoli di tale condizione, forse per farsi  coraggio, per nutrire un qualche sprazzo di speranza o per esorcizzare l’ansia ed i timori, un giorno, in trincea, tra uno sparo e l'altro, si scambiarono una solenne promessa: chi dei due fosse sopravvissuto, in memoria e per ricordo del compagno, avrebbe chiamato il primo figlio col nome del Paese del caduto amico.
Una granata uccise il soldato inglese e qualche tempo dopo, in suo onore e in ossequio al sacro giuramento,  nacque Britannico (nel 1928, sotto il fascismo) che – nomen omen – crebbe giustamente antifascista.

E’ una storia vera di guerra e d’amicizia, una pagina di vita, di persone e di valori, che oggi appare forse romanzata e assai lontana dall’attualità. Ma non è tra quelle del libro Cuore del De Amicis. Lo stesso protagonista, Filippo, il soldato superstite, padre di Britannico – che all’anagrafe, per ignoranza,  fu pure scritto con due “t” - finché fu in vita era restio a raccontarla, per riservatezza o per eccesso di pudore.
Nelle persone di quel tempo, nei nostri avi, c’era, infatti,  accanto alla dignità, all’onestà  e alla parola data, un senso del riserbo e della pudicizia, del tutto  spontaneo e naturale, a noi del tutto sconosciuto.
A me, quest’aneddoto ha colpito e l’ho voluto riferire proprio come testimonianza di umanità e per restituire legittimità e decoro a quei sentimenti che, oggi, qualcuno tende a ridicolizzare, con sufficienza e commiserazione, ridacchiando sotto i baffi di una moderna supponenza.
27 agosto 2013                                              (Alfredo Laurano)                                          

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